da Ecoinformazioni del 10 novembre 2005
«L’imbottigliamento dell’acqua è la prima forma di privatizzazione. Un bene comune viene ceduto in termini esclusivi alle multinazionali: questo significa trasformare un diritto di tutti in un business per pochi» ha affermato Roberto Fumagalli presidente del Circolo ambiente Ilaria Alpi e consigliere nazionale del Contratto mondiale sull'acqua, durante l’incontro I predoni dell’acqua di mercoledì 9 novembre a Villa Gallia.
Laura
Molinari dell‘Arci e di Greenpeace ha aperto
l’incontro I predoni dell’acqua promosso da Infoshop
Konnettiva, Circolo ambiente Ilaria Alpi e Arci di Como con il patrocinio del Comitato italiano per il
Contratto mondiale sull’acqua, sottolineando il valore
dell’acqua come bene comune non sottoponibile alle
leggi del mercato.
Alla
serata, seguita da una quarantina di spettatori, organizzata per sensibilizzare
la popolazione al consumo dell’acqua del rubinetto e per denunciare il business
della acque minerali in bottiglia, hanno partecipato Giuseppe
Altamore, vicecaporedattore
di Famiglia Cristiana e autore dei volumi Qualcuno vuol darcela a bere e I
predoni dell’acqua; acquedotti, rubinetti, bottiglie: chi guadagna e chi perde,
Roberto Fumagalli presidente
del Circolo ambiente Ilaria Alpi e consigliere nazionale del Contratto mondiale
sull'acqua e Massimo Patrignani, consigliere
provinciale di Rifondazione comunista.
Giuseppe
Altamore ha iniziato il suo intervento fornendo un
dato significativo del consumo di acqua imbottigliata
in Italia: il nostro paese è il primo in Europa e terzo nel mondo dopo Stati
Uniti e Canada. Una delle cause di questo fenomeno è la massiccia pubblicità
che coinvolge questo settore: dal 2003 sono stati spesi 290 milioni di euro in spot pubblicitari, che con i loro slogan esaltano
la caratteristiche benefiche del proprio prodotto. Quello che però non viene mai detto è che non sempre le caratteristiche chimiche
delle acque imbottigliate corrispondono a quanto riportato in etichetta.
La mancanza di una
normativa che imponga ai produttori di adeguarsi agli standard di potabilizzazione che caratterizzano le
acque del rubinetto fa sì che alcuni dei prodotti che vengono acquistati
abbiano dei parametri non ottimali per la salute o a volte addirittura nocivi
per la stessa, ma questo è un aspetto poco conosciuto dagli acquirenti come lo
è la questione dei prezzi. Per chi produce i costi rasentano lo zero ma il
prodotto finale viene poi venduto ad un prezzo mille
volte superiore a quello di partenza: in definitiva al produttore l’acqua costa
meno della colla utilizzata per l’etichettatura della bottiglia!
«L’acqua è diventata una merce, segue le logiche del sistema capitalistico e una volta imbottigliata ed associata ad uno spot non è più un bene di tutti, ma acquista il valore di qualsiasi altro prodotto commercializzato» ha affermato il giornalista.
Parlando
delle questioni connesse allo sfruttamento dell’acqua non si può non aprire un
capitolo importante che rimanda al problema della rarefazione della risorsa
idrica a discapito dei paesi più poveri. Per capire la
portata di questo problema Giuseppe Altamore ha
fornito alcuni dati: il 30 per cento della popolazione mondiale non ha accesso
all’acqua potabile e questo causa la morte di 30mila persone al
giorno. Se non si interverrà in maniera significativa
per invertire questa tendenza si stima che entro il 2015 metà della popolazione
del mondo sarà senza acqua potabile. «La maggior parte dell’acqua consumata viene impiegata nell’agricoltura, l’irrigazione avviene con
grossi sprechi di risorsa e i prodotti coltivati, come il cotone, sono spesso idroesigenti. A causa del nostro stile di vita consumiamo
acqua che appartiene ad altre parti della terra: per produrre 1 kg di cotone
occorrono infatti 25.000 litri di acqua! ― ha concluso Giuseppe Altamore
―. Non esiste nulla sulla terra che non abbia
bisogno di acqua e la possibilità di sviluppo economico per i paesi poveri
dipende fortemente dalla disponibilità di questa risorsa».
«È
assurdo pagare mille volte di più per un acqua di cui
sappiamo molto meno» ha esordito Roberto
Fumagalli.
Nella logica di questo mercato quanto entra
effettivamente nelle casse pubbliche? In provincia di Como esistono due
tipologie di canoni: uno di 14 mila euro l’anno che le amministrazioni
incassano per la concessione della superficie di captazione ed uno di 240 mila
euro per il canone di imbottigliamento. La Lombardia è
una delle poche regioni che applica questo secondo sistema di canonizzazione che permette all’amministrazione pubblica di
avere delle entrate, mentre nel restante territorio italiano la concessione dei
terreni per la captazione delle acque non porta alcun utile nelle casse
pubbliche e incrementa il business dei privati. La privatizzazione
dell’acqua è uno delle questioni che il Contratto mondiale sull’acqua si
propone di risolvere: «L’imbottigliamento è la prima forma di privatizzazione. Un bene comune viene
ceduto in termini esclusivi alle multinazionali: questo significa trasformare
un diritto di tutti in un business per pochi».
Per capire la reale portata della questione Roberto
Fumagalli ha portato un esempio. «Come cambierebbe la bolletta di un comasco
che, ipotizziamo, nel secondo semestre del 2005 spende 100 euro se l’appalto
del sistema idrico venisse vinto da una
multinazionale? Si ipotizza che nel secondo semestre
del 2007 lo stesso comasco arriverà a spendere 300 euro per lo stesso
quantitativo di acqua consumato. Non solo si avrebbe quindi un aumento dei
costi del 300 per cento ma si andrebbe incontro anche ad una diminuzione del livello
qualitativo del prodotto fornito».
Massimo
Patrignani, presidente provinciale di Rifondazione
comunista è intervenuto affermando che «L’Acsm è
un’azienda quotata in borsa èd è portatrice di un preciso disegno politico che
la vorrebbe unico ente gestore del sistema idrico del territorio. Noi ci stiamo
battendo perché ciò non accada e perché la gestione venga
concessa a più parti non quotate». [Laura Foti, ecoinformazioni].