SALUTE PRECARIA:
i documenti prodotti per
l'incontro a più voci del 24 marzo 2007
SALUTE PRECARIA
sistema sanitario e
situazione ambientale
Analisi ed esperienze a confronto
Como, 24 marzo 2007
TERRITORIO PRECARIO: Tavolo STOP
precarietà (Como Social Forum) - Comitato Lavoratori contro la guerra - Circolo
Ambiente “Ilaria Alpi” (Merone) - Circolo Fumagalli (Albate) Marcia Mondiale
delle Donne Como – Arci (Como) – Attac (Como) – Giovani Comunisti (Como) –
Circolo Rosa Luxemburg sinistra europea (Como) - Rete 28 aprile (Cgil Como) –
Lavoro e società (Cgil Como) – Funzione Pubblica ((Cgil Como) – Class(Cgil
Como) –Nidil (Cgil Como) – PRC (Como) - PRC (Erba) - Verdi (Como)
INTRODUZIONE
Nicoletta Pirotta
Le politiche sanitarie assorbono oltre il 70% del bilancio della Lombardia.
Il dato in sé potrebbe far credere che chi governa la Regione consideri
importante investire nella salute delle e dei cittadini .
Niente di più sbagliato. La spesa sanitaria regionale è alta ed in crescita
esponenziale ( dai 12,2 miliardi di euro nel 2002 ai 14,6 miliardi di euro nel
2005 solo per fare un esempio) soprattutto perché il modello di sanità
lombarda, così come definito dalla legge 31 del 1997, è orientato alla
privatizzazione dei servizi : in Lombardia tutti i soggetti possono esercitare
la funzione di servizio sanitario ed essere quindi finanziati da denaro
pubblico a condizione di essere accreditati cioè rientrare nei parametri
(ovviamente flessibili) stabiliti dalla legge regionale.
L’accreditamento ha determinato un ingente finanziamento pubblico alle
strutture private che,ovviamente, non essendo legate dai vincoli costituzionali
(com’è invece per quelle pubbliche che devono garantire il diritto alla salute
a tutte e a tutti i cittadini) hanno potuto selezionare “clientela” e
“prestazioni”.
Un modello così impostato ( e così fortemente legato alla necessità di far
cassa) ha determinato la sparizione di qualsiasi forma di prevenzione
sanitaria, dei servizi sanitari territoriali, di un approccio sistemico ai
problemi: tutto si è ospedalizzato ed ancor peggio aziendalizzato.
I costi elevati del sistema hanno “costretto” chi ci governa a introdurre
correttivi.
Da una parte un maggior controllo sui finanziamenti ai privati (con
l’introduzione del “contratto di accreditamento” nel quale si stabilisce un
tetto massimo di prestazioni) e dall’altra,ahimè, l’introduzione dei ticket (
una strumento odioso che penalizza le e i cittadini costretti a pagarsi di
tasca propria o quasi gli esami di cui hanno necessità). Giova ricordare che in
Lombardia ripagano i ticket più alti d’Italia (con differenze sostanziose che
arrivano anche a 10/15 euro per le medesime prestazioni) e che questa pratica è
in continua espansione: una delibera regionale ha recentemente introdotto i
ticket sugli interventi di riabilitazione,per esempio la fisioterapia, che ci
verranno a costare , per ogni prestazione, 69 euro (23 per la prima visita e 46
per la prestazione vera e propria!)
I più maliziosi (ma si sa che a pensar male ci si azzecca) ritengono che la
scelta dei ticket possa essere funzionale ad abituare le e i cittadini a
pagarsi le prestazioni in modo da preparare il campo all’ingresso delle
assicurazioni privati che resta l’approdo finale del modello lombardo. La
Storia ci dirà…..
La privatizzazione del sistema sanitario sta producendo,lo dicono i dati Istat
ed il Sole 24ore, l’impoverimento costante delle persone e delle famiglie.
Addirittura le statistiche ci dicono che una famiglia al cui interno vi sia una
persona affetta da malattia cronica e bisognosa di cure continue è a rischio di
povertà.
Ma non è finita qui. Se affrontiamo anche la questione ambientale (molto
correlata ovviamente alla salute delle persone) le nostre preoccupazioni
aumentano, e non di poco.
Secondo il rapporto dell’Associazione Sbilanciamoci! nei QUARS 2006 (cioè i
macro indicatori attraverso cui viene analizzato lo sviluppo regionale) la
Regione Lombardia risulta essere all’ultimo posto della classifica italiana per
quanto riguarda l’impatto ambientale dell’attività umana e la conseguente
emissione di gas di scarico.
In Lombardia,infatti,è fortissimo l’impatto generato dal sistema economico
sull’ambiente (pensiamo per esempio alla costante costruzione di mega centri
commerciali che oltre a cementficare sempre più spazio verde producono
concentramento di traffico e di inquinamento acustico altissimi) mentre
l’emissione di anidride carbonica per chilometro quadro è a più alta d’Italia.
L’altissima densità abitativa rende ancora più pesanti le conseguenze : la
nostra Regione, infatti,è inserita fra le quattro aree del mondo maggiormente
inquinate,ci dicono i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Per non parlare della salubrità dei luoghi di lavoro: la Lombardia (triste
primato) è in testa alla classifica nazionale delle morti sul lavoro!
Che fare,dunque?
Come Territorio precario, una rete orientata all’azione costituita da
differenti soggetti sociali,di movimento,sindacali e politici, abbiamo ritenuto
opportuno,nell’approccio sistemico che contraddistingue la nostra azione
politica, far convergere tutte quelle realtà che in questi ultimi anno hanno
provato, con pratiche differenti ed in differenti contesti, a contrastare le
politiche sanitarie ed ambientali dominanti.
L’obiettivo è quello di condividere analisi, conoscenze e competenze per
provare a costruire iniziative comuni su temi condivisi .
Iniziative che non solo abbiamo valenza di analisi e controinformazione ma che
sappiano individuare proposte concrete su cui costruire senso comune.
Il metodo che vogliamo darci è quello del consenso : si lavora su ciò che
tutte/i condividono.
Il seminario del 24 marzo 2007 è la prima tappa di un possibile percorso
collettivo sulla salute per proporre anche sul nostro territorio la
costituzione della Casa della Salute, cioè di un luogo pubblico dove
intrecciare,in modo integrato, le politiche e gli interventi sanitari,
sociali,ambientali.
Abbiamo cominciato dall’analisi: con sguardi differenti, a partire, dai diversi
luoghi da cui si osserva, siamo entrati nel merito delle questioni che
riguardano il modello sanitario, la situazione dei servizi territoriali, la
condizione della popolazione anziana, le questioni ambientali, la chiusura dei
servizi, la presenza di fabbriche inquinanti, la condizione delle e dei
lavoratori del settore.
Ne è scaturito questo opuscolo che faremo circolare come strumento
controinformativo.
Un passo per volta dunque, con una consapevolezza: anche se un altromondo non è
ancora visibile, nelle azioni che costruiamo insieme lo sentiamo respirare.
IL MODELLO SANITARIO NAZIONALE E LOMBARDO
Antonio Muscolino
Questo relazione vuole brevemente tracciare il quadro della situazione della
politica
sanitaria italiana italiana e lombarda cercando di porre alcune questioni che negli
anni sono emerse per cercare di affrontarle nella prospettiva di una
riaffermazione di un reale diritto alla salute che non può essere mercificato.
Il Servizio Sanitario Nazionale
L'Italia dal 1978 ha implementato un sistema sanitario di tipo universalistico
le cui
caratteristiche peculiari ,come risaputo,sono innanzitutto di essere pubblico,
gratuito,basato sulla fiscalità generale (progressiva). Il Servizio Sanitario
Nazionale (SSN) si poneva come obiettivi anche una maggiore equità,
l'esaltazione della partecipazione nelle scelte considerando il principio
dell'unitarietà del concetto e della tutela della salute, dando concretezza
all'art.32 della Costituzione.
Questa scelta non è casuale, è il risultato di un periodo di lotte collettive
che hanno datoorigine a diverse rivendicazioni per la conquista di diritti nel
medesimo periodo (fra i momenti più importanti, ricordiamo la nascita
consultori famigliari (l.405/75) tutela salute lavoratrici madri (l.1204/71)
interruzione volontaria della gravidanza (l.194/78) legislazione innovativa in
materia di salute mentale (l.180/78) statuto dei lavoratori (l.300/70)).
Le mutue
Le casse mutue fino ad allora esistenti (basi del precedente “sistema
occupazionale”) per loro natura non si ponevano come fine il problema della
reale tutela della salute, avevano sanzionato le diseguaglianze tra i cittadini
e avevano centrato tutto sul sistema della cura, soprattutto ospedaliera. La
sanità italiana era stata definita, grazie a questo sistema ineguale e molto
differenziato, un “mosaico impazzito”. Un vero diritto alla salute, come
previsto dalla costituzione non poteva concretizzarsi in un tale stato di cose.
Oltre a ciò, anche i problemi economico-finanziari (disavanzi) delle
casse-mutue che si materializzarono nelle loro reali dimensioni soprattutto fra
la metà degli anni 60 e l'inizio degli anni 70, hanno senza dubbio contribuito
ad accelerare l'attivazione di quel servizio sanitario che avrebbe dovuto
sancire l'universalità del diritto alla salute facendo fare un “balzo di
civiltà” allo stato sociale italiano. E hanno formato il primo grosso fattore
di disavanzo del SSN in quanto venivano estinti per legge i debiti delle stesse
casse mutue le quali dovettero, in cambio, rinunciare alla loro autonomia.
Questa scelta,infatti, ha rappresentato l'occasione per scaricare sulla
fiscalità generale gli enormi debiti contratti dagli enti mutualistici con gli
ospedali; debiti che sono andati a costituire il nucleo originario del deficit
pubblico italiano.
E' bene ricordarlo soprattutto per le generazioni che non hanno conosciuto il
periodo
mutualistico soprattutto ora, in un momento storico-politico-economico che
spinge
nuovamente verso quella direzione che, invece, ha già dimostrato i suoi
fallimenti dal punto di vista dell'equità e anche da quello strettamente
economico-finanziario.
Questioni economiche
Dal punto di vista della stabilità economica è storicamente provato.
La spesa sanitaria italiana ha subito un forte incremento (in linea, comunque,
con gli aumenti negli altri paesi industrializzati). Dal 1995 al 2004 è
aumentata di più dell'80%. La suddivisione delle voci al suo interno hanno però
subito modificazioni notevoli. Basti pensare che la spesa per il personale è
passata dal 42,48% del 1995 al 33,76% del 2004 mentre quella per beni e servizi
è incrementata dal 19,32% del 1995 al 23,77% del 2004.
E' bene ricordare che all'interno di quest'ultima voce sono da imputare i costi
per le
“esternalizzazioni” dei servizi. Ciò evidenzia il problema della precarizzazione
dei rapporti di lavoro all'interno del comparto sanitario.
Nonostante questo incremento sempre più importante della spesa sanitaria (ormai
superiore al PIL di molti Stati a causa delle note questioni relative ai
miglioramenti
tecnologici e demografici), il sistema sanitario nazionale fondato sulla
fiscalità generale risulta il più equo e meno costoso di altre tipologie.
Prendendo ad esempio due SSN, quello italiano e quello inglese, i livelli di
spesa si sono sempre trovati al di sotto della media dei paesi OCSE. I dati
(2006 relativi al 2004) parlano di una spesa sanitaria totale italiana in
rapporto al prodotto interno lordo dell' 8,7%(I) 8,1%(GB) 8,1% (E) [servizi
sanitari universalistici] contro un 10,5 %(F) 10,6 (D) 11, 6 %(CH) [servizi
sanitari basati su assicurazioni sociali] 15,3%(USA) [servizio basato su
assicurazioni private].
Di questo totale, l'Italia spende come parte pubblica il 75,1% (raggiungendo il
6,5% del PIL). Consideriamo che nel 1990 era del 79,1%.In GB la quota raggiunge
l'86,3% mentre negli USA si raggiunge la quota del 44,7% (39,7% nel 1990). Di
fatto, gli USA spendono una quota di denaro pubblico pro capite superiore a
quella totale italiana per la sanità (Italia totale: 2392 $PPP, USA pubblica:
2727 $PPP) nonostante il sistema sia totalmente fondato su assicurazioni
private (caratteristica che determina una sorta di generalizzata
“irresponsabilità sociale” per più di 40 milioni diamericani. Questa quota
pubblica in parte finanzia organismi come il Medicaid per i poveri, il Medicare
per gli anziani).
Riforme e controriforme
Dal punto di vista dei risultati, il nostro SSN è stato riconosciuto come uno
dei migliori nel mondo (il secondo) considerando parametri di efficacia,
efficienza e accesso da parte dell'OMS (WHO report 2000).
Nonostante ciò, in Italia abbiamo assistito a varie riforme del SSN che lo
hanno
profondamente modificato organizzativamente e finanziariamente e ne hanno
mutato il lessico (“cliente”, “budget”, “azienda”,”manager”,...) . Fra i più
importanti interventi
normativi ricordiamo:
– Le leggi finanziarie degli anni '80 attraverso le quali si è introdotta la
compartecipazione dei cittadini (ticket), determinata oggi dalle singole
regioni.
– Decreto legislativo di riforma De Lorenzo (502/92) che ha “aziendalizzato “
il SSN e
517/93 (Garavaglia) . E' bene ricordare che quest'ultimo decreto cancellava la
possibilità di uscita definitiva dal SSN prevista dalla riforma De Lorenzo che,
se
implementata, avrebbe riportato il sistema a prima della riforma del 1978
determinando la nascita di differenti livelli di tutela sanitaria
(probabilmente lasciando al SSN un finanziamento non certo).
– d.lgs. 229/99 (riforma Bindi) che ha cercato di attenuare alcuni dei problemi
sorti dalle riforme dei primi anni '90 mantenendo comunque i principi cardine
della
aziendalizzazione.
– Federalismo fiscale, patto di stabilità, modifica del finanziamento in campo
sanitario
– La modifica del titolo V della costituzione che ha sancito la potestà
legislativa
concorrente alle regioni in materia sanitaria.
– L'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Il periodo delle “riforme” in ambito sanitario negli anni 80-90 non è stata,
comunque, una caratteristica solo italiana. Klein la definì infatti una
“epidemia planetaria”. I principi sono direttamente legati ai paradigmi della
Thatcher e Reagan riconducibili a “meno stato, più mercato” secondo l'idea
della “provvidenza” della ”mano invisibile” di Smith. Come abbiamo visto,in
Italia in quegli anni, venne introdotta la “aziendalizzazione” delle strutture
sanitarie, parola quasi taumaturgica (utilizzata in vari campi) che avrebbe
dovuto risolvere i problemi che in quei primi dieci anni dalla nascita del SSN
parevano evidenziarsi: deficit, imputato al fatto che il finanziamento era
operato secondo il regime del ”piè di lista” che accentuava gli sprechi (come,
ad esempio, gli elevati periodi di degenza); corruzione, con l’accusa ai
comuni, gestori della sanità fino a quel momento, di svolgere soprattutto
attività di spartizione politica, di occupazione della sanità e di clientelismo
elettorale locale, rilievi purtroppo spesso reali.
Utilizzando questi due argomenti si è così proceduto a modificare il SSN
realizzando al suo interno aziende sanitarie prive di ogni direzione e di ogni
controllo democratico, emarginando gli Enti locali, e legando le nomine
dirigenziali ancora di più a riconoscimenti partitici.
Non solo, alla figura del Direttore Generale sono stati delegati tutti i poteri
gestionali
(organo monocratico) di fatto radendo al suolo qualsiasi possibilità di
intervento
democratico e partecipativo in sanità e nell'ambito della salute.
E' stato anche reso molto più semplice l'ingresso dei privati nella gestione
della sanità attraverso la possibilità di “sperimentazioni gestionali” (es.
project financing,
esternalizzazioni di servizi, trasformazione in fondazioni, ecc... cose che
purtroppo ben conosciamo anche nella nostra provincia).
Da questo momento, anche con l'introduzione dei DRG (pagamento a prestazione),
si
sono sempre di più considerati come obiettivi prioritari la “produzione”, il
risanamento e la stabilità economica piuttosto che i reali risultati di salute.
Il Servizio Sanitario Nazionale viene suddiviso di fatto in 21 servizi Sanitari
Regionali con regole ed organizzazioni differenti le une dalle altre.
Il caso “Lombardia”
La regione Lombardia ha portato alle estreme conseguenze le parole d'ordine
contenute nella legislazione dei primi anni 90 che ha determinato
l'aziendalizzazione. Il nuovo Servizio Sanitario Regionale Lombardo prende vita
con la l.r. 31/97. Tutto l'impianto fu peraltro già in precedenza implementato
con atti di tipo programmatorio - delibere di giunta- in modo tale da rendere
operative le finalità che si proponevano in modo molto veloce evitando spesso
il confronto in consiglio. Un' autrice scrive di quel periodo “dal momento che
importanti decisioni in campo sanitario venivano prese direttamente dalla
giunta, l'iter di approvazione della legge in consiglio poteva procedere ad un
ritmo più lento: così si spiegano i tempi di approvazione della legge 31/97 [di
riforma del servizio sanitario regionale lombardo]”. In Lombardia ci si
avvicinò molto al modello introdotto dalla Thatcher e Major in GB
(quasimercato), il cui nucleo è “la libertà di scelta” del “cliente”, il
cosiddetto sistema “orientato dal cliente”.
Per fare ciò era indispensabile dividere in modo chiaro e drastico gli
acquirenti (ASL) dai produttori o erogatori di servizi (aziende ospedaliere,
case di cura private, ospedali classificati,...). Questi ultimi per far
funzionare il sistema avrebbero dovuto essere accreditati (cancellando ogni
differenza fra pubblico e privato) e posti in competizione fra loro. Ovviamente
tale costruzione aveva l'obiettivo di fare in modo che anche i privati
potessero accedere alla rilevante quota dedicata dalle regioni alla sanità (la
sanità è, per tutte le regioni, la prima voce di spesa oscillante fra il 65 e
il 75% dell'intero budget regionale). Ecco il nuovo business. Per la parte
“assistenziale”, ricordiamo che in Lombardia si è cancellata l'assistenza
domiciliare integrata e si è introdotto il sistema dei “voucher”, il
tutto,ovviamente,nell'ambito del principio della concorrenza.
Dopo l'entrata in vigore della legge di riforma Formigoni/Borsani e del Piano
socio
sanitario, si sono ridotti i posti-letto nelle strutture pubbliche e in
contemporanea sono incrementati quelli delle strutture private, come da più
parti è stato evidenziato.
La modalità del pagamento a prestazione (DRG) in questo ambito ha, in più,
“drogato” il settore. Abbiamo assistito alla trasformazione in merce della
salute. Vi è stata la rincorsa alla specializzazione soprattutto nei settori
più remunerativi e la ricerca dei malati migliori (che possono subire
interventi e rimettersi nel giro di pochi giorni per poter avere un turnover di
malati maggiore; preferenza ai ricoveri “programmati”).
Le “aziende” ospedaliere pubbliche e private iperspecialistiche (soprattutto in
Lombardia) sono divenute vere e proprie “cattedrali nel deserto” (questo è il
problema basilare che causa un utilizzo non “appropriato” del Pronto Soccorso)
il cui obiettivo finale è rappresentato dal raggiungimento dell' “eccellenza” e
dalla forza di attrazione dei “clienti”.
In questo contesto, chi non ha un problema in fase acuta (appetibile
economicamente) oppure un patrimonio a cui attingere (per poter ottenere le
prestazioni più o meno privatamente “saltando” le liste d'attesa) riesce con
molta difficoltà a trovare risposte dal welfare che in Lombardia si vuole
sempre più leggero (vedi la questione dei malati cronici e la difficoltà a
trovare risposte a questi problemi fuori dall'ospedale a meno di rivolgersi
all'altro mercato delle RSA con le loro relative rette che spesso ricadono non
solo sul malato ma anche sulla famiglia nonostante il d.lgs. 130/00 lo vieti
esplicitamente ma che non viene applicato dai comuni).
Di fatto , la libertà di scelta è risultata molto più vera per le strutture
sanitarie che per i cosiddetti “clienti” (esiste cioè una sorta di facoltà di
scelta del paziente da parte delle strutture, soprattutto nelle realtà private)
.
Non solo, paradossalmente -nonostante le prese di posizione “federaliste”
formigoniane- questo impianto organizzativo non risponde neanche alle necessità
territoriali: Infatti come è possibile spiegare la presenza nella nostra
regione di più di 20 cardiochirugie? Una concentrazione così elevata è una
anormalità tutta lombarda non esistente in nessun'altra parte del mondo.
L'unica logica che sottende questa realtà non può che essere il fatto che
l'intervento cardiochirurgico è uno di quelli che nella nostra regione prevede
il DRG con la maggiore remunerazione. Volendo proseguire nel ragionamento
bisognerebbe ricordare che l'esistenza di una cardiochirurgia è legata in ogni
caso ad un numero di interventi al di sotto del quale non vi sarebbe più alcuna
opportunità economica al suo mantenimento.
Contemporaneamente, è anche vero che un maggior numero di interventi affinano e
migliorano le capacità tecniche degli operatori. Legato a ciò vi è la questione
della
appropriatezza delle prestazioni che non può, perciò, essere slegata dalle
valutazioni
generali di politica sanitaria e di partecipazione nelle scelte.
La competizione ha anche portato con se' l'introduzione dei “tetti” di spesa
per le strutture (per evitare pericolosi “sforamenti” di bilancio).
I “tetti” senza dubbio limitano/blindano le spese della regione ma lasciano i
pazienti
nell'impossibilità quasi totale di trovare una risposta alle proprie “necessità
in campo sanitario” negli ultimi mesi dell'anno in quanto tutto ciò che verrà
erogato fuori da quei limiti semplicemente non verrà remunerato da parte della
regione agli ospedali (come è stato notato particolarmente anche nella nostra
provincia lo scorso mese di novembre quando si voleva utilizzare da parte della
azienda pubblica S.Anna l'escamotage dell'imposizione della obbligatorietà
nella fruizione delle ”ferie residue” entro il 31 dicembre da parte dei
lavoratori per indurre una riduzione dei posti-letto e delle prestazioni oltre
il limite remunerato evitando, da parte della Amministrazione, l'assunzione
diretta di tale responsabilità nei confronti del territorio). Una competizione
di questo tipo tende infatti ad esaurire nel tempo più breve lo “stock” di
prestazioni concordate con l'ASL in modo da “accaparrarsi” il “cliente” meno
problematico e più facilmente “ottimizzabile”. Anche questo problema dovrebbe
essere considerato nella valutazione della”appropriatezza”.
Ciò che è accaduto in questi ultimi mesi ha poi evidenziato altre patologie di
questo
sistema: le truffe perpetrate da diverse cliniche sono ovviamente figlie di
tali scelte di
politica sanitaria che tendono a premiare le “ottimizzazioni” dei DRG legati ad
ogni singolo malato. Tutte irregolarità che i cittadini lombardi pagano salate,
in termini tanto di salute quanto di denaro.
Salute e diseguaglianze
A peggiorare la situazione vi sono anche diversi studi (nazionali) confermati
dalle recenti rilevazioni dell'Istat che hanno rivelato un enorme problema di
diseguaglianza nella salute nella nostra società. E' stato rilevato come, per
esempio, il livello di istruzione incida pesantemente sulle possibilità di
accesso alla sanità e in ultima analisi anche sulle aspettative di vita e di
buona salute. L'istruzione è fortemente legata ai livelli di povertà delle
persone e spesso è connessa alla situazione lavorativa dei singoli (problemi di
precarietà, situazione dei migranti, ecc...).
Negli ultimi anni è poi stata evidenziata come la questione del peso della
parte “out of pocket” (pagamento diretto da parte delle persone per ottenere un
servizio) sia divenuta sempre più rilevante. A questo proposito vorrei
ricordare che secondo una recente analisi del CEIS Tor Vergata si è evidenziato
che le spese sanitarie non coperte dal SSN hanno impoverito in Italia 1.200.000
famiglie e che oltre 295.000 sono scese sotto la soglia di povertà per la
stessa ragione e 967.000 hanno dovuto affrontare spese definite dallo studio
come “catastrofiche”. Lo studio rileva che la presenza di un anziano nel nucleo
famigliare aumenta del 42% la possibilità di impoverirsi.
Questa politica sanitaria incentrata sulla “produzione” spiega la situazione
attuale: Sanità al giorno d'oggi è soprattutto (o solamente) sinonimo di ospedale,
la nuova fabbrica.
Il territorio, come dicevo è dimenticato; il malato, soprattutto se anziano o
cronico, deve trovare le risposte da solo magari nell'altro mercato in
espansione, quello delle RSA e case di riposo.
La prevenzione (la vera prevenzione, come diceva Maccacaro) non può trovare
sbocchi di rilievo in un tale panorama poiché ha bisogno di collegamenti a rete
e non di competitività, deve interessare un insieme di decisioni che insistono
su diversi campi per raggiungere dei risultati. Ma se tutto ciò dovesse dare
quei risultati efficaci per la salute, si ridurrebbero conseguentemente i
potenziali “clienti” chiesti dal “mercato”. La scelta è dunque eminenetemente
politica.
Casa della Salute
Una proposta di discontinuità con questa impostazione mercantile potrebbe
essere
rappresentata dalla idea contenuta nel “new deal per la salute” proposto dalla
ministra Turco che riprende una suggestione lanciata da Maccacaro nel periodo
della nascita del SSN poi approfondita da un recente studio commissionato dallo
SPI CGIL all'Università di Roma: La casa della salute.
Brevemente, la Casa della salute è un insieme di attività organizzate in aree
specifiche di intervento profondamente integrate fra loro in cui si realizza la
presa in carico del cittadino per tutte le attività socio-sanitarie che lo
riguardano. Una struttura fisica riconoscibile e riconosciuta sul territorio
per rispondere alle necessità di prevenzione e di interventi di sanità di base
e di primo livello, per esplicare i momenti di educazione sanitaria e per
essere il collettore/pubblicizzatore di informazioni nell'ambito della salute .
E'un progetto che deve essere flessibile a seconda delle necessità e delle
caratteristiche dei territori. E' “un presidio strategico del distretto
socio-sanitario per fronteggiare evidenti criticità nel rapporto tra il SSN e
il cittadino”. Dovrebbe divenire il punto di riferimento per la medicina di
base (MMG) e di alcuni interventi di medicina di primo livello. Oltre
all'eventuale proiettarsi al domicilio delle persone per aiutare ed evitare
soluzioni di ricovero.
Questo luogo dovrebbe diventare anche punto di raccordo fra l'ospedale
(interventi di secondo livello) ed il territorio e poter realizzare una vera
“presa in carico” della persona per le questioni socio-sanitarie. Non solo, la
struttura dovrebbe anche rappresentare il punto principe per la partecipazione
“dal basso” alle scelte di politica sanitaria (o, meglio, della salute)
territoriale con il coinvolgimento di associazioni e gruppi.
Esistono già oggi alcune sperimentazioni inquesto senso che hanno coinvolto
realtà di diverse regioni quali la Toscana, il Piemonte,l' Emilia-Romagna.
La sua implementazione anche nel nostro territorio risponderebbe a necessità
reali della popolazione. La sua incompatibilità con il principio di concorrenza
(pena il suo
snaturamento) potrebbe rilevare le contraddizioni insite nel sistema
mercificatorio
formigoniano.
E' bene, però, essere consapevoli che la casa della salute inserita ora nel
contesto
sanitario lombardo potrebbe divenire solo ed esclusivamente una sorta di nuovo
centro di costo per controllare ancora meglio il bilancio (come potrebbe
avvenire con la sola implementazione dei gruppi di medici di base, non a caso
fortemente sponsorizzata).
La casa della salute deve rappresentare altro; deve rappresentare una svolta.
Per questo è importante aprire una discussione fra di noi e con la popolazione
per
evidenziare che questa “nuova idea” che ha radici nella prima riforma sanitaria
deve avere le caratteristiche di unitarietà della persona, deve contenere
riferimenti territoriali (riguardanti anche problemi ambientali e sociali cioè
deve fare prevenzione primaria) e per sua natura non può essere posta in
competizione e non possono essere separati al suointerno gli interventi ed i
progetti.
Vorrei concludere con un breve elenco delle caratteristiche che dovrebbe avere
la casa della salute, secondo il ministero della salute e con le linee guida
-sempre ministeriali- per poter accedere al co-finanziamento (da parte delle
regioni) previsto già nella finanziaria 2007 di 10mln di €, documenti sui quali
approfondire il dibattito (convegno del 22 marzo 2007):
1. Centralità del cittadino. La Casa della salute è costruita e realizzata sul
principio della centralità dei cittadini. I percorsi
diagnostico-terapeutico-assistenziali, la presa in carico, l’orientamento di
pazienti e familiari all’interno del sistema rappresentano binari obbligati per
lo svolgimento dell’intera attività. L’operatività della Casa della salute è costruita
per rispondere a questi bisogni, e ciò pone le condizioni per cui la centralità
del cittadino non sia, una volta di più, una petizione di principio quanto
piuttosto un asse strategico intorno al quale si struttura tutta la attività,
pena la negazione dei bisogni e delle domande per le quali essa nasce;
2. Riconoscibilità. La Casa della salute è visibile, sul territorio, come luogo
fisico nel quale si concentrano una serie di servizi e di attività attualmente
dispersi e frammentati. Ciò la rende riconoscibile come il luogo al quale fa
capo, sul territorio, la presa in carico e la continuità assistenziale, e
concorre a creare le condizioni perché diventi un punto di riferimento peri
cittadini;
3. Accessibilità. La Casa della salute deve essere realizzata in maniera tale
da
essere fisicamente accessibile (nessuna barriera architettonica!) eorganizzata
in maniera da garantire la massima disponibilità dei propriservizi ed attività,
a cominciare dalla informazione e dalla prenotazione di prestazioni;
4. Unitarietà. La Casa della salute convoglia e racchiude in sé servizi ed
attività che altrimenti resterebbero frammentati e dispersi sul territorio;
5. Integrazione. La Casa della salute è costruita per operare garantendo
servizi integrati in rete, tra sanitario e sanitario e tra sociale e sanitario;
6. Semplificazione. La Casa della salute opera concentrando e integrando i
servizi e i percorsi per l’accesso ad essi, privilegiando la semplificazione
burocratica, in particolare per il riconoscimento della invalidità, della
indennità di accompagnamento, di rimborsi, e per la segnalazione di disagi,
disservizi, danni, oltre che per la presentazione di reclami e richieste di
risarcimento;
7. Appropriatezza. Procedere privilegiando la presa in carico e i percorsi
diagnostico-terapeutico-assistenziali promuove e favorisce la appropriatezza
delle cure a vantaggio dei cittadini;
8. Efficacia. Centralità del cittadino, accessibilità, integrazione,
semplificazione, appropriatezza concorrono alla efficacia complessiva delle
attività svolte;
9. Punto di riferimento della rete. La Casa della salute opera in rete con
tutti i servizi e le strutture presenti sul territorio, rappresentando a sua
volta un punto rete di riferimento in relazione alle funzioni svolte e alle attività
che si concentrano al suo interno;
10. Autorevolezza e affidabilità. La Casa della salute costruita e realizzata
per rispondere a queste esigenze e per fare sue fino in fondo queste
peculiarità è autorevole e affidabile. Si creano così le condizioni per
cominciare a costruire effettivamente il secondo pilastro della sanità
pubblica, a partire dalla necessità di disporre sul territorio di una struttura
la cui immagine, agli occhi del cittadino, sia in grado di reggere il confronto
con l’ospedale e diventare progressivamente un riferimento credibile.
La Casa della Salute
Linee Guida del Ministero della Salute ai fini dell’erogazione alle Regioni del
co-finanziamento previsto dalla legge 269/2006 per l’avvio delle
sperimentazioni
• Struttura polivalente per l’erogazione dell’insieme delle CURE PRIMARIE di un
determinato ambito territoriale (bacino di 5-10.00 persone),
• Garantire la CONTINUITÀ ASSISTENZIALE 7/7 giorni x 24/24 ore,
• Garantire l’integrazione dei Livelli Essenziali delle PRESTAZIONI
SOCIO-SANITARIE secondo i principi affermati esplicitamente dalla legge n.
229/99 e dalla legge n. 328/2000,
• Garantire la reale integrazione tra le attività di PREVENZIONE, CURA e
RIABILITAZIONE con particolare riferimento alle persone affette da patologie
croniche (ADI, family learning),
• Lavoro di squadra tra le varie figure professionali : MMG, PLS, MCA,
Specialisti
Ambulatoriali, personale tecnico-amministrativo, infermieristico, della
riabilitazione , dell’intervanto sociale e dell’emergenza territoriale,
territoriale,
• Presenza delle principali branche cliniche e quelle relative alla diagnostica
di laboratorio e di radiologia e di ecografia di base,
• Presenza di uno Sportello Unico di Accesso all’insieme delle prestazioni ad
integrazione socio-assistenziale in contiguità con il CUP (Centro Unico di
Prenotazioni per tutte le prestazioni erogate dal S.S.N.),
• Presenza di Ambulatorio infermieristico e Ambulatorio per piccole Urgenze che
non
richiedano l’accesso al PS Ospedaliero,
• Presenza di un servizio di ambulanze per il pronto intervento sul territorio
( punto di soccorso mobile 118 )
SCHEDA SULLA VICENDA S. ANNA E SUI
PROBLEMI DELLA SANITA' COMASCA
Massimo Patrignani
Aprile 1999 - aprile 2007: da otto anni il progetto di delocalizzazione
dell'ospedale S. Anna scandisce le stagioni della politica comasca e condiziona
pesantemente le scelte in materia di sanità, di governo del territorio, di
lavori pubblici e, non ultimo, di democrazia istituzionale e sostanziale.
Questa vicenda è la declinazione concreta, nello specifico del nostro
territorio, delle questioni generali poste da Antonio Muscolino nella sua
introduzione, e dimostra che si tratta di questioni che vanno ben oltre il
fatto puramente tecnico, per investire in pieno gli assetti di potere.
In particolare, appare ben leggibile uno scontro tra un potere locale (il
collegio delle imprese edili, Prospecta), che alla fine risulta soccombente
rispetto ad un potere regionale "ciellino" più forte e strutturato; è
uno scontro che attraversa i centri di dominio della città, e che non sembra
estraneo agli stessi schieramenti elettorali che prendono forma in questi
giorni. Lo stesso atteggiamento ondivago della Lega Nord è leggibile
all'interno di questa dinamica.
Era il 29 aprile 1999 quando la Giunta regionale adottava la deliberazione sui
nuovi criteri in ordine al reperimento di risorse per il settore sanità della
Regione; negli stessi giorni, il collegio delle imprese Edili di Como
presentava presso il Rotary lo studio "Sant'Anna 2000, argomenti a
supporto delle decisioni":
- avanzando innanzi tutto la proposta di costruire un nuovo ospedale su un'area
libera
- negando la possibilità che quest'area potesse essere individuata nell'ex S.
Martino
- individuando genericamente un'area "in prossimità dell'intersezione tra
la viabilità autostradale nord/sud e la viabilità statale/comunale est/ovest
(scopriremo dopo poche settimane trattarsi dell'area ex cava di Villa guardia,
già nella disponibilità di aziende associate al Collegio)
- prevedendo un sistema di finanziamento misto pubblico/privato
La campagna elettorale per le europee fu quindi la prima occasione nella quale
i candidati di Rifondazione resero pubblica l'opposizione a questo progetto,
individuato come organico ai disegni di privatizzazione coltivati dalla Regione
Nel settembre 1999, con uno studio di fattibilità, l'azienda ospedaliera
recepisce in toto la proposta di delocalizzione
La Lega Nord, allora all'opposizione in Regione e al governo (monocolore) in
Provincia si oppone al progetto con una doppia strategia: da un lato rivendica
la competenza per legge sulla localizzazione dell'ospedale, dall'altro lato si
sbizzarrisce nella proposte: Cassina Rizzardi (ass. Cinquesanti), area del S.
Martino (Luca Zanini, presidente del Consiglio Provinciale)
Il centro sinistra è diviso in modo trasversale alle forze politiche, una
divisione di fatto mai pienamente ricomposta, come vedremo.
La divisione attraversa e attraverserà anche le organizzazioni sindacali, con
le segreterie confederali "possibiliste" (documento unitario del 27
ottobre 1999) e la categoria decisamente schierata contro i rischi di
privatizzazione connessi alla delocalizzazione e contro lo stato di degrado dei
servizi esistenti
Incuranti di critiche e dubbi, l'assessorato regionale e l'Azienda Ospedaliera
procedono individuando la strada del project financing, e il 15 dicembre due
cordate imprenditoriali (Prospecta, ovvero Collegio imprese edili; Astaldi,
ovvero CdO) depositano i loro progetti, anche in assenza di scelte definitive
sulla localizzazione.
La Funzione Pubblica CGIL apre subito il fronte della mobilitazione con una
petizione contraria alla delocalizzazione che raccoglie 600 firme in una
settimana.
L'azienda sanitaria, allora guidata da Franco Navone, personaggio di frontiera
tra CL e AN, sceglie Astaldi per la realizzazione dell'opera, con la previsione
che i servizi non sanaitari verranno tutti gestiti dai privati.
E' la giunta leghista di Armando Selva a mettersi di traverso, rivendicando il
diritto/dovere di scegliere la localizzazione e bloccando di fatto le procedure
di appalto
In piena campagna elettorale per le regionali, tutto sembra in alto mare.
L'assessorato al territorio della a Provincia realizza un studio comparativo
sulle possibili localizzazioni di Cassina Rizzardi e Villa Guardia; è a partire
da quello studio che Rifondazione lancia una proposta di delibera di iniziativa
popolare che le boccia entrambe e rilancia il progetto di ristrutturazione in
loco: vengono raccolte poco meno di 2000 firme in un mese; il 26 luglio, sulla
spinta di questa iniziativa, il consiglio Provinciale, con due atti diversi,
delibera a favore della ristrutturazione dell'attuale sede e, in seconda
battuta, qualora i vari soggetti coinvolti non accettassero questa ipotesi, per
un accordo di programma per realizzare il nuovo ospedale nell'area San Martino.
La decisione viene riconfermata il 20 ottobre, bocciando una richiesta di Ulivo
(sic!) e Forza Italia per Villa Guardia, e il 19 febbraio 2001.
Lorenzo Spallino lancia l'appello 100 firme che sfocierà nel Consiglio comunale
aperto del 31 maggio, La Lega organizza 30 gazebo per un referendum
autogestito.
Pausa di rflessione, poi la situazione si ingarbuglia ulteriormente: l'azienda
ospedaliera "boccia" la ristrutturazione in loco con un
studio/verifica del febbraio 2002, finalizzato a rilanciare la
delocalizzazione, in vista di un nuovo quadro politico in Provincia
Infatti, Formigoni plana a Como in occasione delle elezioni provinciali e
lancia la proposta provocatoria di Lora (area dei preti guanelliani), alla
quale l'assessorato al territorio della Provincia rilancia con un progetto
sull'area San Carpoforo (attigua all'attuale sede).
Si vota e, come previsto, anche a Como si forma una Giunta provinciale della
casa delle libertà: è il preludio alla marcia indietro della Lega, per la quale
serve solo tempo, ed il tempo si trova. L'assessorato alla sanità viene
assegnato ad un esponente di AN, che attiva le dovute sinergie con Borsani e
con il nuovo manager del S.Anna, entrambi della stessa collocazione politica
Viene stabilito il 15 ottobre come data ultima per trovare un accordo, si passa
poi a novembre, poi si tergiversa ancora, ma nel frattempo matura l'accordo su
Tre Camini/San Fermo.
Nel 2003 l'accordo di programma non è ancora siglato, tuttavia questi
cambiamenti nel quadro politico segnano un scarto nelle strategie aziendali,
che inizia a ragionare come se il nuovo ospedale fosse già realtà, senza più
trovare opposizione politica sul territorio. E' in questa fase che l'abbandono
dei presidi periferici assume dimensioni preoccupanti, al punto da spingere il
Consiglio provinciale ad interrogarsi in merito chiedendo garanzie per
Menaggio, Mariano, Beldosso. Garanzie che ovviamente non vengono date, per il
semplice fatto che si nega l'esistenza del problema e ci si fa scudo con la
sinergia pubblico privato, a tutto vantaggio dei presidi di Gravedona, di
Lanzo, di Erba e/o Alzate B.za.
Anche in città, le carenze della struttura pubblica aprono enormi spazi ai
privati: sono gli anni del progetto di ampliamento del Valduce (oggetto del
desiderio della CdO) e della ristrutturazione nella Ticosa privata del
padiglione ex industriale che oggi ospita il san Nicolò.
Se l'orizzonte è fosco, tuttavia il lavoro di opposizione alla delocalizzazione
ha dato i suoi frutti nel diffondere una coscienza più ampia di cosa significhi
nei fatti il modello sanitario lombardo: passando attraverso il comitato per la
difesa della sanità pubblica, si arriva (senza una continuità lineare ma per
balzi temporali nei quali però cresce la comprensione del problema) alla
manifestazione del 29 novembre 2003, presso l'area Tre Camini, nella quale si
registra l'adesione compatta del centro sinistra e di tante associazioni; oltre
300 cittadini partecipano al corteo che "riporta a casa" l'ospedale
Nel sondaggio telefonico del giornale La Provincia stravince il no alla
delocalizzazione.
Sordi ad ogni sollecitazione, Regione, Provincia e Comuni (tutti di centro
destra) firmano l'accordo di programma il 13 dicembre 2003.
Dopo l'acquisizione dei terreni del Conte Giulini da parte della Provincia
(permuta alla pari con i ben più pregiati terreni di Cassina Rizzardi) si
procede alla riperimetrazione dell'area e si riparte con la progettazione,
affidata alla società regionale Infrastrutture Lombarde Spa. Tutto ciò richiede
altri tre anni di beghe politiche e pasticci burocratici
La posa della prima pietra, mercoledì 15 novembre 2006, apre di fatto la
campagna elettorale di primavera. Per ora è facile nascondere i nodi ancora
aperti, poi si vedrà. Ancora una volta l'opposizione di manifesta con un
presidio davanti al vecchio ospedale, con esponenti dei partiti di centro
sinistra, associazioni. Sindacati.
Si vede quindi che, nonostante il lavoro di Formigoni per allontanare la
gestione sanitaria dai luoghi del confronto democratico, questa lunga vicenda
mette in mostra una buona reattività delle istituzioni (magari non sempre per
nobili motivi) e della comunità locale, almeno nei suoi settori più coscienti.
Reattività che, in misura differenziata e meno continuativa, si registra anche
nei percorsi a difesa dei presidi minori, sempre con un elemento comune che è
la presenza attiva dei lavoratori.
Questi i tratti essenziali di una preistoria che è bene non dimenticare, per
concentrarci però sull'ultimo biennio e sull'anno in corso, con l'augurio che
il voto di maggio ci porti qualche ragione di speranza.
Quali sono i nodi ancora aperti?
Sul piano delle procedure e della realizzazione dell'opera:
- il nodo Astaldi
- Infrastrutture Lombarde le modalità di appalto
- la viabilità di accesso (18 milioni di Euro) e il trasporto pubblico
(Cinemas)
- i finanziamenti (di sicuro c'è solo l'ex O.s.a.r.e.)
- le "compensazioni" per San Fermo (S.F. Servizi)
- i vincoli ambientali (deviazione dei corsi d'acqua, reperti archeologici)
- il destino delle aree di via Napoleona e dell'ex O.P. San Martino
Sul piano sanitario e dei diritti:
- il rapporto pubblico/privato
- la soddisfazione del bisogno di salute sul territorio, con un nuovo ospedale
che appare assai distante dal rispondere alle esigenze più diffuse, in quanto
privilegia l'alta specializzazione, ma nel contempo drena risorse all'azienda
nel suo insieme e lascia scoperto il territorio (Beldosso, Mariano, Menaggio
sono ormai al termine della loro parabola, Cantù è in serie B, F.B.F. Erba va
monitorato con la massima attenzione, vedi vicenda Crepaldi)
- i processi di precarizzazione del lavoro
- il tavolo sanitario provinciale/nuovo codice AALL
Proprio mentre il modello sanitario lombardo presenta vistose crepe (caso
Cè/Bresciani: sul 118 e in generale sui servizi di emergenza c'è un altro
terreno di commistione affari-politica, a Como quasi interamente ad appannaggio
di AN; nuovo piano sanitario regionale meno "aggressivo"), viaggiamo
verso un punto di non ritorno dei suoi effetti, in un territorio
strutturalmente più fragile sul versante pubblico.
Questo ci chiama ad un rinnovato impegno, in termini di proposte e di
mobilitazione, con uno sforzo anche per non disperdere quel piccolo (ma non
troppo) patrimonio di lotte e di saperi che grazie alla vicenda S.Anna si è
sedimentato.
Non serve, in questa prospettiva, l'atteggiamento benevolo dell'Ulivo del Nord
(Benzoni) che sembra dimenticare - forse per non averlo mai ben compreso
dall'inizio - l'insegnamento di nove anni di storia.
AMBIENTE E SALUTE
Edy Borgianni
Nel corso del secolo passato il concetto di salute ha assunto un significato
più ampio, non più solo assenza di malattia o di altri problemi fisici, ma uno
stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, come definito dall’OMS;
un diritto che impegna gli Stati a non limitarsi alla semplice gestione di un
sistema sanitario, ma anche a modificare quei fattori che influiscono
negativamente sulla salute collettiva e a promuovere azioni per favorire i
fattori positivi.
Negli ultimi anni, parallelamente, è venuta crescendo una sempre maggiore
consapevolezza della correlazione fra ambiente e salute umana, dell’influenza
che l’ambiente ha sulla salute dell’uomo.
In tale ottica si deve considerare come tutto ciò che viene immesso
nell’ambiente possa successivamente avere conseguenze negative sulla salute e
non solo da un punto di vista fisico, malattie respiratorie, cancro ecc., ma
anche per quanto riguarda il benessere psicologico. Fin dal 1999 la ricerca sui
costi sanitari dovuti all’inquinamento atmosferico da traffico, completato in
Francia, Austria e Svizzera ha evidenziato che il trasporto, in particolare
quello su strada è la fonte principale di esposizione al rumore in ambito
urbano. Livelli di rumore che superino per intensità i 55 d(B)A sono correlati
a disturbi del sonno e della comunicazione e possono interferire negativamente
con la capacità di concentrazione. I bambini esposti cronicamente a forti
rumori, per esempio in prossimità degli aeroporti, possono mostrare difficoltà
nell’apprendimento, nell’imparare a leggere, e nell’acquisire la capacità di
risolvere problemi. Il trasporto può avere, inoltre, rilevanti effetti di tipo
psico-sociale, tra i quali stress, comportamenti a rischio, aggressività,
depressione e gli effetti psicologici post-traumatici in seguito ad incidenti.
Lo stile di vita sempre più sedentario della maggioranza della popolazione,
dovuto in gran parte all’abbandono degli spostamenti a piedi o in bicicletta a
vantaggio dell’automobile o del ciclomotore è, assieme al fumo, fra i più
importanti fattori di rischio per l’insorgere di malattie cardio-circolatorie,
diabete, ipertensione e mortalità precoce. Qualora una moderata attività fisica
venisse praticata come parte integrante delle attività quotidiane – per esempio
camminando o andando in bicicletta per un totale di circa 30 minuti al giorno,
anche se suddivisi in periodi di 10-15 minuti ciascuno – sarebbe possibile
ottenere una riduzione di circa il 50% nel rischio di sviluppare malattie
coronariche, diabete ed obesità e di circa il 30% nel rischio di sviluppare
ipertensione. Il traffico veicolare è tra le cause dell’inquinamento urbano dell’aria,
insieme al riscaldamento degli edifici, agli impianti industriali ed
energetici.
Una grande massa di veicoli in continuo movimento provoca la liberazione
nell’aria di varie sostanze, dalle particelle dei pneumatici e ai prodotti di
scarico. Più alta è la concentrazione nell’aria di particelle maggiore è
l’effetto sulla salute della popolazione. Il particolato PM10 è tra gli
elementi più nocivi e può raggiungere le più profonde vie respiratorie
trasportando sostanze altamente inquinanti e spesso cancerogene. Gli
idrocarburi volatili e il monossido di carbonio penetrando nei polmoni,
raggiungono poi altri organi tramite il sangue e possono danneggiare
sensibilmente e permanentemente i sistemi di difesa naturali del nostro
organismo.
Già nel 1999 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva segnalato che
l’inquinamento da traffico a livello europeo era correlato ad 80.000 decessi. E
Paolo Crosignani dell’Istituto dei Tumori di Milano ha affermato che per ogni
10 mg/metrocubo in più di PM10 – tenendo conto che in natura il PM10 è presente
con un valore di 10 mg/mcubo - respirati per 10-15 anni la vita è ridotta di
circa 6 mesi, pertanto se si riuscisse a scendere a 30 mg/mc di media annuale
si risparmierebbero parecchie morti.
Quello che conta non è il numero del superamento con dei picchi della soglia
stabilita di PM10, ma la media, infatti, è molto più dannoso vivere tutto
l’anno con una media ad esempio di 49 che vivere a 30 con qualche punta di 70
mg/mc.
La stessa OMS, con la recente pubblicazione delle nuove linee guida sulla
qualità dell’aria, ha evidenziato che abbassando l’inquinamento di un
particolare tipo inquinante quale il PM10 da 70 a 20 mg/mc si possono ridurre i
decessi fino al 15% l’anno nelle città inquinate.
La ricerca svolta in Francia, Austria e Svizzera ha anche rilevato che
l’inquinamento da traffico nei tre paesi causa circa 300.000 casi di bronchite
nei bambini e più di 15.000 ricoveri ospedalieri per malattie cardiache,
395.000 attacchi d’asma negli adulti e 162.000 nei bambini.
Maria Neira, direttore OMS per la Sanità Pubblica e l’Ambiente di Ginevra ha
dichiarato che abbassando i livelli dell’inquinamento atmosferico si possono
aiutare i paesi a diminuire patologie quali infezioni respiratorie, malattie
cardiache e cancro ai polmoni, inoltre, gli interventi per la riduzione
dell’impatto diretto dell’inquinamento atmosferico hanno anche l’effetto di
diminuire le emissioni di gas che contribuiscono al cambiamento climatico,
favorendo in tal modo ulteriori guadagni in salute.
Gli elementi inquinanti però possono anche finire nel piatto e nell’acqua che
beviamo.
Le sostanze tossiche già presenti in natura negli alimenti sono state
incrementate da sorgenti industriali. I contaminanti di origine antropica
possono entrare in contatto con i cibi durante la produzione, lo stoccaggio o
il trasporto.
Da un’analisi di Gianluca Tognon - nutrizionista e consulente presso il Centro
di Prevenzione Oncologica di Firenze (pubblicazione WWF “Dal mercurio alla
diossina: viaggio alla scoperta dei pericoli nel piatto”) si rileva che
l’esposizione all’arsenico, già ampiamente diffuso in natura, avviene
principalmente attraverso il cibo (in particolare il pesce) e l’acqua potabile.
La fusione di metalli non ferrosi e la produzione di energia da combustibili
fossili, rappresentano i due processi industriali maggiormente colpevoli
dell’inquinamento di aria, acqua e suolo. L’esposizione a lungo termine ad
acqua contaminata con arsenico provoca un incremento del rischio di sviluppare
cancro alla pelle, oltre ad altri danni cutanei. L’esposizione per inalazione
predispone al cancro ai polmoni (OMS 2001).
Negli alimenti si trovano tra le sostanze nocive di origine industriale anche i
composti diossino-simili e le diossine. Nei soggetti esposti a tali sostanze
nocive si possono avere manifestazioni tossiche quali iperpigmentazione, edemi
subcutanei a livelli del viso, rigonfiamenti delle palpebre, disturbi della
vista, difficoltà uditive. In popolazioni fortemente esposte sono state
riscontrate un’aumentata incidenza di cancro al fegato e di effetti sulla
riproduzione (Borlakoglu e Dils, 1991)
Le diossine ed i composti diossino-simili sono fra le sostanze più tossiche,
contaminano il suolo e le acque e penetrano nella catena alimentare.
Le diossine sono in particolare il prodotto dell’incenerimento dei rifiuti, né
l’utilizzo alternativo dei termovalorizzatori, con i quali attraverso la
lavorazione dei rifiuti si produce energia elettrica, risolve il problema, in
quanto non eliminano a priori l’emissione di diossine nei fumi di scarico
dispersi nell’atmosfera circostante.
In casa nostra la situazione non è tranquillizzante visto che la Commissione
europea ha deciso di deferire l’Italia per la definizione restrittiva di
“rifiuto” introdotta nella normativa nazionale nel dicembre 2004. Grazie a
questa legge, ad esempio, i rifiuti urbani utilizzati come combustibili nei
forni per cemento o nelle centrali elettriche sfuggono alle disposizioni delle
normative comunitarie che disciplinano i rifiuti e l’incenerimento dei rifiuti,
ne risulta un rischio potenziale per l’ambiente e per la salute umana dovuto
alle emissioni incontrollate di sostanze chimiche come le diossine.
La stessa industria alimentare è causa di degrado ambientale. L’allevamento
intensivo di maiali, mucche, pecore e polli, secondo la FAO, degrada
l’ambiente, contribuendo all’effetto serra, all’inquinamento delle riserve
dell’acqua e distrugge la biodiversità.
Il settore dell’allevamento è, infatti, responsabile del 18% delle emissioni
globali di gas serra, più che i trasporti che ne emettono il 13,5%.
Gli animali da allevamento producono oltre al 9% dell’anidride carbonica
derivante dalle attività umane un’alta percentuale di gas serra come per
esempio il 65% delle emissioni di ossido nitroso, un gas che contribuisce al
riscaldamento terreste 296 volte di più del biossido di carbonio, provenienti
da gran parte del letame.
Dal sistema digestivo dei ruminanti viene generato il 37 % di tutto il metano
prodotto da attività umane che contribuisce al riscaldamento terrestre più di
23 volte dell’anidride carbonica.
Sotto accusa è l’intero processo produttivo, incluse, quindi, le emissioni
generate dalla produzione di foraggio e fertilizzanti, dalla deforestazione
necessaria a creare nuovi pascoli, dal trattamento del letame e dalle emissioni
prodotte dagli stessi animali.
Le foreste tropicali, come in Amazzonia, sono abbattute per far posto ai
pascoli, mentre le acque dolci rimanenti nel mondo sono contaminate dai rifiuti
degli animali e dai pesticidi.
Massimo Tettamanti, chimico ambientale, segnala che in Italia gli animali da
allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezioni a
scarso contenuto organico, che non possono essere utilizzate come
fertilizzante. Attualmente lo smaltimento di questi liquami avviene per
spandimento sul terreno, il che provoca il grave problema di inquinamento da
sostanze azotate che causa la contaminazione delle falde acquifere, dei corsi
d’acqua di superficie e l’eutrofizzazione dei mari.
Anche i farmaci somministrati agli animali possono passare nell’ambiente con i
reflui e residuare nei suoli, nei vegetali, nelle acque e, quindi, negli
alimenti di cui si ciba l’uomo, come le verdure e il pesce.
In un’epoca in cui tutto è rapportato all’economia, in cui le strutture
sanitarie dimettono i pazienti anzitempo per rispettare il budget, in cui
vengono anche rifiutati esami clinici ritenendo eccessivi i costi, qualora la
situazione dell’individuo, pur sofferente, non è fortemente invalidante, in cui
in Lombardia sono state escluse alcune tipologie di cure, sempre per rispettare
il budget, non può essere sottovalutato l’impatto che ha sull’economia la
mancanza di tutela ambientale. Attualmente maggiori spese significano meno
cure.
LA CURA DEGLI ANZIANI MALATI E NON AUTOSUFFICIENTI
Elisabeth Cosandey
Premessa.
La non autosufficienza sembra essere un problema che preoccupa grandemente la
nostra società, particolarmente i governanti. La preoccupazione è naturalmente
di ordine economico. La società europea che si chiude agli immigrati si
riscopre vecchia, fa delle previsioni catastrofiche e propone misure che
ricadono direttamente sui cittadini. Lo Stato Sociale in via di smantellamento
non cerca di affrontare i bisogni di salute della popolazione anziana. La
medicina ha altri e più alti traguardi (trapianti, biologia molecolare ecc.) e
non si china a curare acciacchi o patologie croniche, ricorrenti.
Tendenzialmente, la persona anziana non è un malato ma una persona da
assistere.
La nostra posizione è diversa: la causa della cronicità e non autosufficienza è
per la stragrande maggioranza dovuta a malattia e solo in minima parte al
decadimento fisico e dunque il Servizio sanitario nazionale se ne deve fare
carico. Tra le finalità del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) vi è “ la
diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la
fenomenologia e la durata. Sempre nell’articolo 2 della legge di Riforma
Sanitaria n°833 si afferma che il SSN “assicura la tutela della salute degli
anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono
concorrere alla loro emarginazione”.
Ricordiamo il quadro normativo che tutela i diritti delle persone anziane
malate e non autosufficienti:
- in base alla legge 4 agosto 1955 n. 692, l’assistenza sanitaria deve essere
fornita senza limiti di durata alle persone colpite dalle malattie specifiche
della vecchiaia; i lavoratori hanno versato e versano contributi allo Stato che
si è impegnato di assicurare i necessari trattamenti nei casi di malattia acuta
e cronica;
- - l’art. 29 della legge 12 febbraio 1968 n.132 impone alle Regioni di
programmare posti letto degli ospedali tenendo conto delle esigenze dei malati
“acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti”.
- - la legge 13 maggio 1978 n.180 stabilisce che le Usl devono garantire a
tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro età, i necessari servizi direttti alla
prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie mentali; le Province hanno
trasferito alle USL il personale e i finanziamenti concernenti tutti i pazienti
psichiatrici, compresi quelli anziani auto e non autosufficienti.
- l’art. 54 della legge 289/2002 concernente i LEA (Livelli essenziali di
assistenza) conferma il diritto esigibile alle cure sanitarie.
Per quanto riguarda gli oneri economici a carico dei pazienti ricoverati e dei
loro familiari per il pagamento della retta richiesta dalle strutture
residenziali (RSA), facciamo riferimento all’art. 25 della legge 328/2000(Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali) che rimanda al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.109,
successivamente modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n.130,
chiarendo che nessun contributo economico può essere richiesto ai parenti,
compresi quelli conviventi con l’assistito, qualora questi sia un ultra
sessantacinquenne non autosufficiente o un soggetto con handicap in situazione
di gravità.
Dobbiamo costatare una generale mancanza di informazione e una mancanza di
coscienza dei diritti nella popolazione su questi temi. Sappiamo che le
leggi,anche le migliori,non vengono applicate in modo automatico e quindi
spesso rimangono “lettera morta”. Anche i Comuni si rivolgono per il pagamento
delle rette direttamente sugli utenti e sui familiari e non trattano con la
Regione per ottenere ciò di cui parlano i LEA, ovvero oneri a carico della
sanità per il 50% dei costi e l’altra metà a carico dell’utente e/o del Comune.
E’ ancora fondamentale il ruolo delle associazioni e dei partiti più sensibili
sui temi sociali e dei diritti diffondere informazioni e sostenere
concretamente i cittadini con segnalazioni alle Istituzioni e se non basta
aprendo vertenze o cause giudiziarie.
Politiche della Regione Lombardia e situazione dei servizi :
L’attuazione della legge 31 del 1997 ha voluto riordinare la sanità secondo un
ottica di “quasi mercato” con una organizzazione aziendalistica.L’ospedale
concentra la quasi totalità delle risorse.Le ASL finanziano e acquistono
prestazioni nel pubblico e nel privato. Il Dipartimento delle attività
socio-sanitarie integrate (ASSI) ha esternalizzato 80% dei suoi servizi e come
risulta da una recente ricerca della CISL sul sistema lombardo mancano di più i
servizi di primo livello per prendere in carico la domanda di salute, per garantire
l’accesso all’insieme dei servizi socio-sanitari e per assicurare la continuità
assistenziale. Sono molto frequenti le dimissioni selvagge”dagli ospedali, il
ricorso massiccio alle RSA e l’erogazione dei voucher al posto dei servizi di
assistenza domiciliare.
Nella Provincia di Como i posti letto nelle RSA, nel 1997 erano 2.610 e nel
2006 sono diventati 4.161. La retta giornaliera a carico degli ospiti, nel 2006
era di 51,83E. diventata 56,64E. nel 2007 con un aumento del 9,2%.
La disponibilità di posti letto di cura e riabilitazione tra pubblico e privato
ha seguito questo andamento tra il 1997 e il 2005:
nel pubblico,i posti sono passati da 36.033 a 24.244 con un decremento del 32%
nel privato, i posti sono passati da 12.615 a 13.020 con un incremento del
3,2%.
Affermiamo la necessità di un diverso approccio per la popolazione anziana e
per dare le risposte corrette ai loro bisogni.Una proposta di legge regionale
di iniziativa popolare per il “Riordino degli interventi sanitari a favore
degli anziani malati cronici non autosufficienti e di tutte le persone affette
da patologie ad alto rischio invalidante” presentata nel febbraio 2001, è stata
bocciata in Commissione e quindi mai discussa in Consiglio. Prevedeva la
istituzione presso la ASL di un Dipartimento delle patologie ad alto rischio
invalidante per garantire e coordinare l’insieme delle strutture e dei servizi,
ovvero:
L’unità valutativa geriatria e della non autosufficienza
Il servizio di cure domiciliari
I Centri diurni
Il Day Hospital
Le RSA e le comunità terapeutiche
Gli istituti di lungodegenza riabilitativa
Il patrimonio di idee, esperienze e cultura non va comunque disperso. Un
progetto per la realizzazione della “Casa della salute” mette di nuovo le basi
per lavorare sul territorio, facendo prevenzione e educazione alla salute (
importanza della alimentazione, dell’ esercizio fisico, del rendersi utile
socialmente e culturalmente dopo la pensione), accoglimento e orientamento
della domanda (epidemiologia, sportelli unificati sanitari e sociali)
qualificazione e valorizzazione delle cure primarie con un nuovo rapporto con
la medicina specialistica e un ruolo responsabile negli ingressi e dimissioni
degli ospedali; nella Casa della salute possono essere garantite le cure
domiciliari con un buon lavoro di equipe.
La Casa della salute mette al centro la partecipazione dei cittadini ,forse
tocca a noi cominciare a costruirla dal basso, senza mura o strutture ma
producendo iniziative, difesa dei diritti, corsi di formazione, rapporto con
operatori disponibili perché critici o sofferenti nel loro ruolo professionale.
Il fondo per la non autosufficienza
Proposta sostenuta da quasi tutti i partiti anche del centro sinistro, tranne
il PRC, e dal Sindacato, questo fondo non può essere a carattere nazionale
perché materia di competenza regionale. Infatti ,in diverse Regioni è stato
attivato nelle forme più varie.
Va contrastato in primo luogo ogni tentativo di togliere forme di previdenza
come ad esempio il trasferimento dell’assegno di accompagnamento al fondo per
la non autosufficienza.Inoltre il fondo non dovrebbe servire alla distribuzione
di più voucher, ma al ripensamento del sistema dei servizi.
Tracce di lavoro
Un ruolo che ciascuno di noi può svolgere è quello di essere attivo e vigile,
pronto a raccogliere una domanda ,a fornire informazioni, a mettersi in
relazione con le Associazioni che difendono i diritti.Vanno contrastate in
particolare le pratiche di dimissioni “selvagge” dagli ospedali (chiedere alle
Associazioni il modulo/lettera di opposizione alle dimissioni )e la non
applicazione del D.L. 130/2000 relativo alle rette nelle strutture
residenziali.
La stessa vigilanza può essere rivolta verso le RSA per quanto riguarda la
qualità e la cura degli anziani, eventuali casi di incuria o di maltrattamento
vanno subito segnalati e laddove ci sono, vanno sostenuti i Comitati dei
parenti.
HOLCIM: L’INCENERITORE DI MERONE
Circolo Ambientale “Ilaria Alpi”
(vedasi www.circoloambiente.org/cementeria.html )