SALUTE PRECARIA:

 i documenti prodotti per l'incontro a più voci del 24 marzo 2007

SALUTE PRECARIA
sistema sanitario e
situazione ambientale


Analisi ed esperienze a confronto
Como, 24 marzo 2007


TERRITORIO PRECARIO:  Tavolo STOP precarietà (Como Social Forum) - Comitato Lavoratori contro la guerra - Circolo Ambiente “Ilaria Alpi” (Merone) - Circolo Fumagalli (Albate) Marcia Mondiale delle Donne Como – Arci (Como) – Attac (Como) – Giovani Comunisti (Como) – Circolo Rosa Luxemburg sinistra europea (Como) - Rete 28 aprile (Cgil Como) – Lavoro e società (Cgil Como) – Funzione Pubblica ((Cgil Como) – Class(Cgil Como) –Nidil (Cgil Como) – PRC (Como) - PRC (Erba) - Verdi (Como)



INTRODUZIONE
Nicoletta Pirotta

Le politiche sanitarie assorbono oltre il 70% del bilancio della Lombardia.
Il dato in sé potrebbe far credere che chi governa la Regione consideri importante investire nella salute delle e dei cittadini .
Niente di più sbagliato. La spesa sanitaria regionale è alta ed in crescita esponenziale ( dai 12,2 miliardi di euro nel 2002 ai 14,6 miliardi di euro nel 2005 solo per fare un esempio) soprattutto perché il modello di sanità lombarda, così come definito dalla legge 31 del 1997, è orientato alla privatizzazione dei servizi : in Lombardia tutti i soggetti possono esercitare la funzione di servizio sanitario ed essere quindi finanziati da denaro pubblico a condizione di essere accreditati cioè rientrare nei parametri (ovviamente flessibili) stabiliti dalla legge regionale.
L’accreditamento ha determinato un ingente finanziamento pubblico alle strutture private che,ovviamente, non essendo legate dai vincoli costituzionali (com’è invece per quelle pubbliche che devono garantire il diritto alla salute a tutte e a tutti i cittadini) hanno potuto selezionare “clientela” e “prestazioni”.

Un modello così impostato ( e così fortemente legato alla necessità di far cassa) ha determinato la sparizione di qualsiasi forma di prevenzione sanitaria, dei servizi sanitari territoriali, di un approccio sistemico ai problemi: tutto si è ospedalizzato ed ancor peggio aziendalizzato.

I costi elevati del sistema hanno “costretto” chi ci governa a introdurre correttivi.
Da una parte un maggior controllo sui finanziamenti ai privati (con l’introduzione del “contratto di accreditamento” nel quale si stabilisce un tetto massimo di prestazioni) e dall’altra,ahimè, l’introduzione dei ticket ( una strumento odioso che penalizza le e i cittadini costretti a pagarsi di tasca propria o quasi gli esami di cui hanno necessità). Giova ricordare che in Lombardia ripagano i ticket più alti d’Italia (con differenze sostanziose che arrivano anche a 10/15 euro per le medesime prestazioni) e che questa pratica è in continua espansione: una delibera regionale ha recentemente introdotto i ticket sugli interventi di riabilitazione,per esempio la fisioterapia, che ci verranno a costare , per ogni prestazione, 69 euro (23 per la prima visita e 46 per la prestazione vera e propria!)
I più maliziosi (ma si sa che a pensar male ci si azzecca) ritengono che la scelta dei ticket possa essere funzionale ad abituare le e i cittadini a pagarsi le prestazioni in modo da preparare il campo all’ingresso delle assicurazioni privati che resta l’approdo finale del modello lombardo. La Storia ci dirà…..

La privatizzazione del sistema sanitario sta producendo,lo dicono i dati Istat ed il Sole 24ore, l’impoverimento costante delle persone e delle famiglie. Addirittura le statistiche ci dicono che una famiglia al cui interno vi sia una persona affetta da malattia cronica e bisognosa di cure continue è a rischio di povertà.

Ma non è finita qui. Se affrontiamo anche la questione ambientale (molto correlata ovviamente alla salute delle persone) le nostre preoccupazioni aumentano, e non di poco.
Secondo il rapporto dell’Associazione Sbilanciamoci! nei QUARS 2006 (cioè i macro indicatori attraverso cui viene analizzato lo sviluppo regionale) la Regione Lombardia risulta essere all’ultimo posto della classifica italiana per quanto riguarda l’impatto ambientale dell’attività umana e la conseguente emissione di gas di scarico.
In Lombardia,infatti,è fortissimo l’impatto generato dal sistema economico sull’ambiente (pensiamo per esempio alla costante costruzione di mega centri commerciali che oltre a cementficare sempre più spazio verde producono concentramento di traffico e di inquinamento acustico altissimi) mentre l’emissione di anidride carbonica per chilometro quadro è a più alta d’Italia. L’altissima densità abitativa rende ancora più pesanti le conseguenze : la nostra Regione, infatti,è inserita fra le quattro aree del mondo maggiormente inquinate,ci dicono i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Per non parlare della salubrità dei luoghi di lavoro: la Lombardia (triste primato) è in testa alla classifica nazionale delle morti sul lavoro!

Che fare,dunque?

Come Territorio precario, una rete orientata all’azione costituita da differenti soggetti sociali,di movimento,sindacali e politici, abbiamo ritenuto opportuno,nell’approccio sistemico che contraddistingue la nostra azione politica, far convergere tutte quelle realtà che in questi ultimi anno hanno provato, con pratiche differenti ed in differenti contesti, a contrastare le politiche sanitarie ed ambientali dominanti.
L’obiettivo è quello di condividere analisi, conoscenze e competenze per provare a costruire iniziative comuni su temi condivisi .
Iniziative che non solo abbiamo valenza di analisi e controinformazione ma che sappiano individuare proposte concrete su cui costruire senso comune.
Il metodo che vogliamo darci è quello del consenso : si lavora su ciò che tutte/i condividono.

Il seminario del 24 marzo 2007 è la prima tappa di un possibile percorso collettivo sulla salute per proporre anche sul nostro territorio la costituzione della Casa della Salute, cioè di un luogo pubblico dove intrecciare,in modo integrato, le politiche e gli interventi sanitari, sociali,ambientali.

Abbiamo cominciato dall’analisi: con sguardi differenti, a partire, dai diversi luoghi da cui si osserva, siamo entrati nel merito delle questioni che riguardano il modello sanitario, la situazione dei servizi territoriali, la condizione della popolazione anziana, le questioni ambientali, la chiusura dei servizi, la presenza di fabbriche inquinanti, la condizione delle e dei lavoratori del settore.
Ne è scaturito questo opuscolo che faremo circolare come strumento controinformativo.

Un passo per volta dunque, con una consapevolezza: anche se un altromondo non è ancora visibile, nelle azioni che costruiamo insieme lo sentiamo respirare.


 
IL MODELLO SANITARIO NAZIONALE E LOMBARDO
Antonio Muscolino

Questo relazione vuole brevemente tracciare il quadro della situazione della politica
sanitaria italiana italiana e lombarda cercando di porre alcune questioni che negli anni sono emerse per cercare di affrontarle nella prospettiva di una riaffermazione di un reale diritto alla salute che non può essere mercificato.

Il Servizio Sanitario Nazionale
L'Italia dal 1978 ha implementato un sistema sanitario di tipo universalistico le cui
caratteristiche peculiari ,come risaputo,sono innanzitutto di essere pubblico, gratuito,basato sulla fiscalità generale (progressiva). Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si poneva come obiettivi anche una maggiore equità, l'esaltazione della partecipazione nelle scelte considerando il principio dell'unitarietà del concetto e della tutela della salute, dando concretezza all'art.32 della Costituzione.
Questa scelta non è casuale, è il risultato di un periodo di lotte collettive che hanno datoorigine a diverse rivendicazioni per la conquista di diritti nel medesimo periodo (fra i momenti più importanti, ricordiamo la nascita consultori famigliari (l.405/75) tutela salute lavoratrici madri (l.1204/71) interruzione volontaria della gravidanza (l.194/78) legislazione innovativa in materia di salute mentale (l.180/78) statuto dei lavoratori (l.300/70)).

Le mutue
Le casse mutue fino ad allora esistenti (basi del precedente “sistema occupazionale”) per loro natura non si ponevano come fine il problema della reale tutela della salute, avevano sanzionato le diseguaglianze tra i cittadini e avevano centrato tutto sul sistema della cura, soprattutto ospedaliera. La sanità italiana era stata definita, grazie a questo sistema ineguale e molto differenziato, un “mosaico impazzito”. Un vero diritto alla salute, come previsto dalla costituzione non poteva concretizzarsi in un tale stato di cose.
Oltre a ciò, anche i problemi economico-finanziari (disavanzi) delle casse-mutue che si materializzarono nelle loro reali dimensioni soprattutto fra la metà degli anni 60 e l'inizio degli anni 70, hanno senza dubbio contribuito ad accelerare l'attivazione di quel servizio sanitario che avrebbe dovuto sancire l'universalità del diritto alla salute facendo fare un “balzo di civiltà” allo stato sociale italiano. E hanno formato il primo grosso fattore di disavanzo del SSN in quanto venivano estinti per legge i debiti delle stesse casse mutue le quali dovettero, in cambio, rinunciare alla loro autonomia. Questa scelta,infatti, ha rappresentato l'occasione per scaricare sulla fiscalità generale gli enormi debiti contratti dagli enti mutualistici con gli ospedali; debiti che sono andati a costituire il nucleo originario del deficit pubblico italiano.
E' bene ricordarlo soprattutto per le generazioni che non hanno conosciuto il periodo
mutualistico soprattutto ora, in un momento storico-politico-economico che spinge
nuovamente verso quella direzione che, invece, ha già dimostrato i suoi fallimenti dal punto di vista dell'equità e anche da quello strettamente economico-finanziario.

Questioni economiche
Dal punto di vista della stabilità economica è storicamente provato.
La spesa sanitaria italiana ha subito un forte incremento (in linea, comunque, con gli aumenti negli altri paesi industrializzati). Dal 1995 al 2004 è aumentata di più dell'80%. La suddivisione delle voci al suo interno hanno però subito modificazioni notevoli. Basti pensare che la spesa per il personale è passata dal 42,48% del 1995 al 33,76% del 2004 mentre quella per beni e servizi è incrementata dal 19,32% del 1995 al 23,77% del 2004.
E' bene ricordare che all'interno di quest'ultima voce sono da imputare i costi per le
“esternalizzazioni” dei servizi. Ciò evidenzia il problema della precarizzazione dei rapporti di lavoro all'interno del comparto sanitario.
Nonostante questo incremento sempre più importante della spesa sanitaria (ormai
superiore al PIL di molti Stati a causa delle note questioni relative ai miglioramenti
tecnologici e demografici), il sistema sanitario nazionale fondato sulla fiscalità generale risulta il più equo e meno costoso di altre tipologie.
Prendendo ad esempio due SSN, quello italiano e quello inglese, i livelli di spesa si sono sempre trovati al di sotto della media dei paesi OCSE. I dati (2006 relativi al 2004) parlano di una spesa sanitaria totale italiana in rapporto al prodotto interno lordo dell' 8,7%(I) 8,1%(GB) 8,1% (E) [servizi sanitari universalistici] contro un 10,5 %(F) 10,6 (D) 11, 6 %(CH) [servizi sanitari basati su assicurazioni sociali] 15,3%(USA) [servizio basato su assicurazioni private].
Di questo totale, l'Italia spende come parte pubblica il 75,1% (raggiungendo il 6,5% del PIL). Consideriamo che nel 1990 era del 79,1%.In GB la quota raggiunge l'86,3% mentre negli USA si raggiunge la quota del 44,7% (39,7% nel 1990). Di fatto, gli USA spendono una quota di denaro pubblico pro capite superiore a quella totale italiana per la sanità (Italia totale: 2392 $PPP, USA pubblica: 2727 $PPP) nonostante il sistema sia totalmente fondato su assicurazioni private (caratteristica che determina una sorta di generalizzata “irresponsabilità sociale” per più di 40 milioni diamericani. Questa quota pubblica in parte finanzia organismi come il Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani).

Riforme e controriforme
Dal punto di vista dei risultati, il nostro SSN è stato riconosciuto come uno dei migliori nel mondo (il secondo) considerando parametri di efficacia, efficienza e accesso da parte dell'OMS (WHO report 2000).
Nonostante ciò, in Italia abbiamo assistito a varie riforme del SSN che lo hanno
profondamente modificato organizzativamente e finanziariamente e ne hanno mutato il lessico (“cliente”, “budget”, “azienda”,”manager”,...) . Fra i più importanti interventi
normativi ricordiamo:
– Le leggi finanziarie degli anni '80 attraverso le quali si è introdotta la
compartecipazione dei cittadini (ticket), determinata oggi dalle singole regioni.
– Decreto legislativo di riforma De Lorenzo (502/92) che ha “aziendalizzato “ il SSN e
517/93 (Garavaglia) . E' bene ricordare che quest'ultimo decreto cancellava la
possibilità di uscita definitiva dal SSN prevista dalla riforma De Lorenzo che, se
implementata, avrebbe riportato il sistema a prima della riforma del 1978 determinando la nascita di differenti livelli di tutela sanitaria (probabilmente lasciando al SSN un finanziamento non certo).
– d.lgs. 229/99 (riforma Bindi) che ha cercato di attenuare alcuni dei problemi sorti dalle riforme dei primi anni '90 mantenendo comunque i principi cardine della
aziendalizzazione.
– Federalismo fiscale, patto di stabilità, modifica del finanziamento in campo sanitario
– La modifica del titolo V della costituzione che ha sancito la potestà legislativa
concorrente alle regioni in materia sanitaria.
– L'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Il periodo delle “riforme” in ambito sanitario negli anni 80-90 non è stata, comunque, una caratteristica solo italiana. Klein la definì infatti una “epidemia planetaria”. I principi sono direttamente legati ai paradigmi della Thatcher e Reagan riconducibili a “meno stato, più mercato” secondo l'idea della “provvidenza” della ”mano invisibile” di Smith. Come abbiamo visto,in Italia in quegli anni, venne introdotta la “aziendalizzazione” delle strutture sanitarie, parola quasi taumaturgica (utilizzata in vari campi) che avrebbe dovuto risolvere i problemi che in quei primi dieci anni dalla nascita del SSN parevano evidenziarsi: deficit, imputato al fatto che il finanziamento era operato secondo il regime del ”piè di lista” che accentuava gli sprechi (come, ad esempio, gli elevati periodi di degenza); corruzione, con l’accusa ai comuni, gestori della sanità fino a quel momento, di svolgere soprattutto attività di spartizione politica, di occupazione della sanità e di clientelismo elettorale locale, rilievi purtroppo spesso reali.
Utilizzando questi due argomenti si è così proceduto a modificare il SSN realizzando al suo interno aziende sanitarie prive di ogni direzione e di ogni controllo democratico, emarginando gli Enti locali, e legando le nomine dirigenziali ancora di più a riconoscimenti partitici.
Non solo, alla figura del Direttore Generale sono stati delegati tutti i poteri gestionali
(organo monocratico) di fatto radendo al suolo qualsiasi possibilità di intervento
democratico e partecipativo in sanità e nell'ambito della salute.
E' stato anche reso molto più semplice l'ingresso dei privati nella gestione della sanità attraverso la possibilità di “sperimentazioni gestionali” (es. project financing,
esternalizzazioni di servizi, trasformazione in fondazioni, ecc... cose che purtroppo ben conosciamo anche nella nostra provincia).
Da questo momento, anche con l'introduzione dei DRG (pagamento a prestazione), si
sono sempre di più considerati come obiettivi prioritari la “produzione”, il risanamento e la stabilità economica piuttosto che i reali risultati di salute.
Il Servizio Sanitario Nazionale viene suddiviso di fatto in 21 servizi Sanitari Regionali con regole ed organizzazioni differenti le une dalle altre.

Il caso “Lombardia”
La regione Lombardia ha portato alle estreme conseguenze le parole d'ordine contenute nella legislazione dei primi anni 90 che ha determinato l'aziendalizzazione. Il nuovo Servizio Sanitario Regionale Lombardo prende vita con la l.r. 31/97. Tutto l'impianto fu peraltro già in precedenza implementato con atti di tipo programmatorio - delibere di giunta- in modo tale da rendere operative le finalità che si proponevano in modo molto veloce evitando spesso il confronto in consiglio. Un' autrice scrive di quel periodo “dal momento che importanti decisioni in campo sanitario venivano prese direttamente dalla giunta, l'iter di approvazione della legge in consiglio poteva procedere ad un ritmo più lento: così si spiegano i tempi di approvazione della legge 31/97 [di riforma del servizio sanitario regionale lombardo]”. In Lombardia ci si avvicinò molto al modello introdotto dalla Thatcher e Major in GB (quasimercato), il cui nucleo è “la libertà di scelta” del “cliente”, il cosiddetto sistema “orientato dal cliente”.
Per fare ciò era indispensabile dividere in modo chiaro e drastico gli acquirenti (ASL) dai produttori o erogatori di servizi (aziende ospedaliere, case di cura private, ospedali classificati,...). Questi ultimi per far funzionare il sistema avrebbero dovuto essere accreditati (cancellando ogni differenza fra pubblico e privato) e posti in competizione fra loro. Ovviamente tale costruzione aveva l'obiettivo di fare in modo che anche i privati potessero accedere alla rilevante quota dedicata dalle regioni alla sanità (la sanità è, per tutte le regioni, la prima voce di spesa oscillante fra il 65 e il 75% dell'intero budget regionale). Ecco il nuovo business. Per la parte “assistenziale”, ricordiamo che in Lombardia si è cancellata l'assistenza domiciliare integrata e si è introdotto il sistema dei “voucher”, il tutto,ovviamente,nell'ambito del principio della concorrenza.
Dopo l'entrata in vigore della legge di riforma Formigoni/Borsani e del Piano socio
sanitario, si sono ridotti i posti-letto nelle strutture pubbliche e in contemporanea sono incrementati quelli delle strutture private, come da più parti è stato evidenziato.
La modalità del pagamento a prestazione (DRG) in questo ambito ha, in più, “drogato” il settore. Abbiamo assistito alla trasformazione in merce della salute. Vi è stata la rincorsa alla specializzazione soprattutto nei settori più remunerativi e la ricerca dei malati migliori (che possono subire interventi e rimettersi nel giro di pochi giorni per poter avere un turnover di malati maggiore; preferenza ai ricoveri “programmati”).
Le “aziende” ospedaliere pubbliche e private iperspecialistiche (soprattutto in Lombardia) sono divenute vere e proprie “cattedrali nel deserto” (questo è il problema basilare che causa un utilizzo non “appropriato” del Pronto Soccorso) il cui obiettivo finale è rappresentato dal raggiungimento dell' “eccellenza” e dalla forza di attrazione dei “clienti”.
In questo contesto, chi non ha un problema in fase acuta (appetibile economicamente) oppure un patrimonio a cui attingere (per poter ottenere le prestazioni più o meno privatamente “saltando” le liste d'attesa) riesce con molta difficoltà a trovare risposte dal welfare che in Lombardia si vuole sempre più leggero (vedi la questione dei malati cronici e la difficoltà a trovare risposte a questi problemi fuori dall'ospedale a meno di rivolgersi all'altro mercato delle RSA con le loro relative rette che spesso ricadono non solo sul malato ma anche sulla famiglia nonostante il d.lgs. 130/00 lo vieti esplicitamente ma che non viene applicato dai comuni).
Di fatto , la libertà di scelta è risultata molto più vera per le strutture sanitarie che per i cosiddetti “clienti” (esiste cioè una sorta di facoltà di scelta del paziente da parte delle strutture, soprattutto nelle realtà private) .
Non solo, paradossalmente -nonostante le prese di posizione “federaliste” formigoniane- questo impianto organizzativo non risponde neanche alle necessità territoriali: Infatti come è possibile spiegare la presenza nella nostra regione di più di 20 cardiochirugie? Una concentrazione così elevata è una anormalità tutta lombarda non esistente in nessun'altra parte del mondo. L'unica logica che sottende questa realtà non può che essere il fatto che l'intervento cardiochirurgico è uno di quelli che nella nostra regione prevede il DRG con la maggiore remunerazione. Volendo proseguire nel ragionamento bisognerebbe ricordare che l'esistenza di una cardiochirurgia è legata in ogni caso ad un numero di interventi al di sotto del quale non vi sarebbe più alcuna opportunità economica al suo mantenimento.
Contemporaneamente, è anche vero che un maggior numero di interventi affinano e
migliorano le capacità tecniche degli operatori. Legato a ciò vi è la questione della
appropriatezza delle prestazioni che non può, perciò, essere slegata dalle valutazioni
generali di politica sanitaria e di partecipazione nelle scelte.
La competizione ha anche portato con se' l'introduzione dei “tetti” di spesa per le strutture (per evitare pericolosi “sforamenti” di bilancio).
I “tetti” senza dubbio limitano/blindano le spese della regione ma lasciano i pazienti
nell'impossibilità quasi totale di trovare una risposta alle proprie “necessità in campo sanitario” negli ultimi mesi dell'anno in quanto tutto ciò che verrà erogato fuori da quei limiti semplicemente non verrà remunerato da parte della regione agli ospedali (come è stato notato particolarmente anche nella nostra provincia lo scorso mese di novembre quando si voleva utilizzare da parte della azienda pubblica S.Anna l'escamotage dell'imposizione della obbligatorietà nella fruizione delle ”ferie residue” entro il 31 dicembre da parte dei lavoratori per indurre una riduzione dei posti-letto e delle prestazioni oltre il limite remunerato evitando, da parte della Amministrazione, l'assunzione diretta di tale responsabilità nei confronti del territorio). Una competizione di questo tipo tende infatti ad esaurire nel tempo più breve lo “stock” di prestazioni concordate con l'ASL in modo da “accaparrarsi” il “cliente” meno problematico e più facilmente “ottimizzabile”. Anche questo problema dovrebbe essere considerato nella valutazione della”appropriatezza”.
Ciò che è accaduto in questi ultimi mesi ha poi evidenziato altre patologie di questo
sistema: le truffe perpetrate da diverse cliniche sono ovviamente figlie di tali scelte di
politica sanitaria che tendono a premiare le “ottimizzazioni” dei DRG legati ad ogni singolo malato. Tutte irregolarità che i cittadini lombardi pagano salate, in termini tanto di salute quanto di denaro.

Salute e diseguaglianze
A peggiorare la situazione vi sono anche diversi studi (nazionali) confermati dalle recenti rilevazioni dell'Istat che hanno rivelato un enorme problema di diseguaglianza nella salute nella nostra società. E' stato rilevato come, per esempio, il livello di istruzione incida pesantemente sulle possibilità di accesso alla sanità e in ultima analisi anche sulle aspettative di vita e di buona salute. L'istruzione è fortemente legata ai livelli di povertà delle persone e spesso è connessa alla situazione lavorativa dei singoli (problemi di precarietà, situazione dei migranti, ecc...).
Negli ultimi anni è poi stata evidenziata come la questione del peso della parte “out of pocket” (pagamento diretto da parte delle persone per ottenere un servizio) sia divenuta sempre più rilevante. A questo proposito vorrei ricordare che secondo una recente analisi del CEIS Tor Vergata si è evidenziato che le spese sanitarie non coperte dal SSN hanno impoverito in Italia 1.200.000 famiglie e che oltre 295.000 sono scese sotto la soglia di povertà per la stessa ragione e 967.000 hanno dovuto affrontare spese definite dallo studio come “catastrofiche”. Lo studio rileva che la presenza di un anziano nel nucleo famigliare aumenta del 42% la possibilità di impoverirsi.
Questa politica sanitaria incentrata sulla “produzione” spiega la situazione attuale: Sanità al giorno d'oggi è soprattutto (o solamente) sinonimo di ospedale, la nuova fabbrica.
Il territorio, come dicevo è dimenticato; il malato, soprattutto se anziano o cronico, deve trovare le risposte da solo magari nell'altro mercato in espansione, quello delle RSA e case di riposo.
La prevenzione (la vera prevenzione, come diceva Maccacaro) non può trovare sbocchi di rilievo in un tale panorama poiché ha bisogno di collegamenti a rete e non di competitività, deve interessare un insieme di decisioni che insistono su diversi campi per raggiungere dei risultati. Ma se tutto ciò dovesse dare quei risultati efficaci per la salute, si ridurrebbero conseguentemente i potenziali “clienti” chiesti dal “mercato”. La scelta è dunque eminenetemente politica.

Casa della Salute
Una proposta di discontinuità con questa impostazione mercantile potrebbe essere
rappresentata dalla idea contenuta nel “new deal per la salute” proposto dalla ministra Turco che riprende una suggestione lanciata da Maccacaro nel periodo della nascita del SSN poi approfondita da un recente studio commissionato dallo SPI CGIL all'Università di Roma: La casa della salute.
Brevemente, la Casa della salute è un insieme di attività organizzate in aree specifiche di intervento profondamente integrate fra loro in cui si realizza la presa in carico del cittadino per tutte le attività socio-sanitarie che lo riguardano. Una struttura fisica riconoscibile e riconosciuta sul territorio per rispondere alle necessità di prevenzione e di interventi di sanità di base e di primo livello, per esplicare i momenti di educazione sanitaria e per essere il collettore/pubblicizzatore di informazioni nell'ambito della salute . E'un progetto che deve essere flessibile a seconda delle necessità e delle caratteristiche dei territori. E' “un presidio strategico del distretto socio-sanitario per fronteggiare evidenti criticità nel rapporto tra il SSN e il cittadino”. Dovrebbe divenire il punto di riferimento per la medicina di base (MMG) e di alcuni interventi di medicina di primo livello. Oltre all'eventuale proiettarsi al domicilio delle persone per aiutare ed evitare soluzioni di ricovero.
Questo luogo dovrebbe diventare anche punto di raccordo fra l'ospedale (interventi di secondo livello) ed il territorio e poter realizzare una vera “presa in carico” della persona per le questioni socio-sanitarie. Non solo, la struttura dovrebbe anche rappresentare il punto principe per la partecipazione “dal basso” alle scelte di politica sanitaria (o, meglio, della salute) territoriale con il coinvolgimento di associazioni e gruppi.
Esistono già oggi alcune sperimentazioni inquesto senso che hanno coinvolto realtà di diverse regioni quali la Toscana, il Piemonte,l' Emilia-Romagna.
La sua implementazione anche nel nostro territorio risponderebbe a necessità reali della popolazione. La sua incompatibilità con il principio di concorrenza (pena il suo
snaturamento) potrebbe rilevare le contraddizioni insite nel sistema mercificatorio
formigoniano.
E' bene, però, essere consapevoli che la casa della salute inserita ora nel contesto
sanitario lombardo potrebbe divenire solo ed esclusivamente una sorta di nuovo centro di costo per controllare ancora meglio il bilancio (come potrebbe avvenire con la sola implementazione dei gruppi di medici di base, non a caso fortemente sponsorizzata).
La casa della salute deve rappresentare altro; deve rappresentare una svolta.
Per questo è importante aprire una discussione fra di noi e con la popolazione per
evidenziare che questa “nuova idea” che ha radici nella prima riforma sanitaria deve avere le caratteristiche di unitarietà della persona, deve contenere riferimenti territoriali (riguardanti anche problemi ambientali e sociali cioè deve fare prevenzione primaria) e per sua natura non può essere posta in competizione e non possono essere separati al suointerno gli interventi ed i progetti.
Vorrei concludere con un breve elenco delle caratteristiche che dovrebbe avere la casa della salute, secondo il ministero della salute e con le linee guida -sempre ministeriali- per poter accedere al co-finanziamento (da parte delle regioni) previsto già nella finanziaria 2007 di 10mln di €, documenti sui quali approfondire il dibattito (convegno del 22 marzo 2007):
1. Centralità del cittadino. La Casa della salute è costruita e realizzata sul
principio della centralità dei cittadini. I percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, la presa in carico, l’orientamento di pazienti e familiari all’interno del sistema rappresentano binari obbligati per lo svolgimento dell’intera attività. L’operatività della Casa della salute è costruita per rispondere a questi bisogni, e ciò pone le condizioni per cui la centralità del cittadino non sia, una volta di più, una petizione di principio quanto piuttosto un asse strategico intorno al quale si struttura tutta la attività, pena la negazione dei bisogni e delle domande per le quali essa nasce;
2. Riconoscibilità. La Casa della salute è visibile, sul territorio, come luogo fisico nel quale si concentrano una serie di servizi e di attività attualmente dispersi e frammentati. Ciò la rende riconoscibile come il luogo al quale fa capo, sul territorio, la presa in carico e la continuità assistenziale, e concorre a creare le condizioni perché diventi un punto di riferimento peri cittadini;
3. Accessibilità. La Casa della salute deve essere realizzata in maniera tale da
essere fisicamente accessibile (nessuna barriera architettonica!) eorganizzata in maniera da garantire la massima disponibilità dei propriservizi ed attività, a cominciare dalla informazione e dalla prenotazione di prestazioni;
4. Unitarietà. La Casa della salute convoglia e racchiude in sé servizi ed attività che altrimenti resterebbero frammentati e dispersi sul territorio;
5. Integrazione. La Casa della salute è costruita per operare garantendo servizi integrati in rete, tra sanitario e sanitario e tra sociale e sanitario;
6. Semplificazione. La Casa della salute opera concentrando e integrando i servizi e i percorsi per l’accesso ad essi, privilegiando la semplificazione burocratica, in particolare per il riconoscimento della invalidità, della indennità di accompagnamento, di rimborsi, e per la segnalazione di disagi, disservizi, danni, oltre che per la presentazione di reclami e richieste di risarcimento;
7. Appropriatezza. Procedere privilegiando la presa in carico e i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali promuove e favorisce la appropriatezza delle cure a vantaggio dei cittadini;
8. Efficacia. Centralità del cittadino, accessibilità, integrazione, semplificazione, appropriatezza concorrono alla efficacia complessiva delle attività svolte;
9. Punto di riferimento della rete. La Casa della salute opera in rete con tutti i servizi e le strutture presenti sul territorio, rappresentando a sua volta un punto rete di riferimento in relazione alle funzioni svolte e alle attività che si concentrano al suo interno;
10. Autorevolezza e affidabilità. La Casa della salute costruita e realizzata per rispondere a queste esigenze e per fare sue fino in fondo queste peculiarità è autorevole e affidabile. Si creano così le condizioni per cominciare a costruire effettivamente il secondo pilastro della sanità pubblica, a partire dalla necessità di disporre sul territorio di una struttura la cui immagine, agli occhi del cittadino, sia in grado di reggere il confronto con l’ospedale e diventare progressivamente un riferimento credibile.

La Casa della Salute
Linee Guida del Ministero della Salute ai fini dell’erogazione alle Regioni del co-finanziamento previsto dalla legge 269/2006 per l’avvio delle sperimentazioni
• Struttura polivalente per l’erogazione dell’insieme delle CURE PRIMARIE di un
determinato ambito territoriale (bacino di 5-10.00 persone),
• Garantire la CONTINUITÀ ASSISTENZIALE 7/7 giorni x 24/24 ore,
• Garantire l’integrazione dei Livelli Essenziali delle PRESTAZIONI SOCIO-SANITARIE secondo i principi affermati esplicitamente dalla legge n. 229/99 e dalla legge n. 328/2000,
• Garantire la reale integrazione tra le attività di PREVENZIONE, CURA e
RIABILITAZIONE con particolare riferimento alle persone affette da patologie croniche (ADI, family learning),
• Lavoro di squadra tra le varie figure professionali : MMG, PLS, MCA, Specialisti
Ambulatoriali, personale tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione , dell’intervanto sociale e dell’emergenza territoriale, territoriale,
• Presenza delle principali branche cliniche e quelle relative alla diagnostica di laboratorio e di radiologia e di ecografia di base,
• Presenza di uno Sportello Unico di Accesso all’insieme delle prestazioni ad integrazione socio-assistenziale in contiguità con il CUP (Centro Unico di Prenotazioni per tutte le prestazioni erogate dal S.S.N.),
• Presenza di Ambulatorio infermieristico e Ambulatorio per piccole Urgenze che non
richiedano l’accesso al PS Ospedaliero,
• Presenza di un servizio di ambulanze per il pronto intervento sul territorio ( punto di soccorso mobile 118 )



SCHEDA SULLA VICENDA S. ANNA  E SUI PROBLEMI DELLA SANITA' COMASCA
Massimo Patrignani

Aprile 1999 - aprile 2007: da otto anni il progetto di delocalizzazione dell'ospedale S. Anna scandisce le stagioni della politica comasca e condiziona pesantemente le scelte in materia di sanità, di governo del territorio, di lavori pubblici e, non ultimo, di democrazia istituzionale e sostanziale. Questa vicenda è la declinazione concreta, nello specifico del nostro territorio, delle questioni generali poste da Antonio Muscolino nella sua introduzione, e dimostra che si tratta di questioni che vanno ben oltre il fatto puramente tecnico, per investire in pieno gli assetti di potere.

In particolare, appare ben leggibile uno scontro tra un potere locale (il collegio delle imprese edili, Prospecta), che alla fine risulta soccombente rispetto ad un potere regionale "ciellino" più forte e strutturato; è uno scontro che attraversa i centri di dominio della città, e che non sembra estraneo agli stessi schieramenti elettorali che prendono forma in questi giorni. Lo stesso atteggiamento ondivago della Lega Nord è leggibile all'interno di questa dinamica.

Era il 29 aprile 1999 quando la Giunta regionale adottava la deliberazione sui nuovi criteri in ordine al reperimento di risorse per il settore sanità della Regione; negli stessi giorni, il collegio delle imprese Edili di Como presentava presso il Rotary lo studio "Sant'Anna 2000, argomenti a supporto delle decisioni":
- avanzando innanzi tutto la proposta di costruire un nuovo ospedale su un'area libera
- negando la possibilità che quest'area potesse essere individuata nell'ex S. Martino
- individuando genericamente un'area "in prossimità dell'intersezione tra la viabilità autostradale nord/sud e la viabilità statale/comunale est/ovest (scopriremo dopo poche settimane trattarsi dell'area ex cava di Villa guardia, già nella disponibilità di aziende associate al Collegio)
- prevedendo un sistema di finanziamento misto pubblico/privato

La campagna elettorale per le europee fu quindi la prima occasione nella quale i candidati di Rifondazione resero pubblica l'opposizione a questo progetto, individuato come organico ai disegni di privatizzazione coltivati dalla Regione

Nel settembre 1999, con uno studio di fattibilità, l'azienda ospedaliera recepisce in toto la proposta di delocalizzione

La Lega Nord, allora all'opposizione in Regione e al governo (monocolore) in Provincia si oppone al progetto con una doppia strategia: da un lato rivendica la competenza per legge sulla localizzazione dell'ospedale, dall'altro lato si sbizzarrisce nella proposte: Cassina Rizzardi (ass. Cinquesanti), area del S. Martino (Luca Zanini, presidente del Consiglio Provinciale)

Il centro sinistra è diviso in modo trasversale alle forze politiche, una divisione di fatto mai pienamente ricomposta, come vedremo.

La divisione attraversa e attraverserà anche le organizzazioni sindacali, con le segreterie confederali "possibiliste" (documento unitario del 27 ottobre 1999) e la categoria decisamente schierata contro i rischi di privatizzazione connessi alla delocalizzazione e contro lo stato di degrado dei servizi esistenti

Incuranti di critiche e dubbi, l'assessorato regionale e l'Azienda Ospedaliera procedono individuando la strada del project financing, e il 15 dicembre due cordate imprenditoriali (Prospecta, ovvero Collegio imprese edili; Astaldi, ovvero CdO) depositano i loro progetti, anche in assenza di scelte definitive sulla localizzazione.

La Funzione Pubblica CGIL apre subito il fronte della mobilitazione con una petizione contraria alla delocalizzazione che raccoglie 600 firme in una settimana.

L'azienda sanitaria, allora guidata da Franco Navone, personaggio di frontiera tra CL e AN, sceglie Astaldi per la realizzazione dell'opera, con la previsione che i servizi non sanaitari verranno tutti gestiti dai privati.

E' la giunta leghista di Armando Selva a mettersi di traverso, rivendicando il diritto/dovere di scegliere la localizzazione e bloccando di fatto le procedure di appalto

In piena campagna elettorale per le regionali, tutto sembra in alto mare. L'assessorato al territorio della a Provincia realizza un studio comparativo sulle possibili localizzazioni di Cassina Rizzardi e Villa Guardia; è a partire da quello studio che Rifondazione lancia una proposta di delibera di iniziativa popolare che le boccia entrambe e rilancia il progetto di ristrutturazione in loco: vengono raccolte poco meno di 2000 firme in un mese; il 26 luglio, sulla spinta di questa iniziativa, il consiglio Provinciale, con due atti diversi, delibera a favore della ristrutturazione dell'attuale sede e, in seconda battuta, qualora i vari soggetti coinvolti non accettassero questa ipotesi, per un accordo di programma per realizzare il nuovo ospedale nell'area San Martino. La decisione viene riconfermata il 20 ottobre, bocciando una richiesta di Ulivo (sic!) e Forza Italia per Villa Guardia, e il 19 febbraio 2001.

Lorenzo Spallino lancia l'appello 100 firme che sfocierà nel Consiglio comunale aperto del 31 maggio, La Lega organizza 30 gazebo per un referendum autogestito.

Pausa di rflessione, poi la situazione si ingarbuglia ulteriormente: l'azienda ospedaliera "boccia" la ristrutturazione in loco con un studio/verifica del febbraio 2002, finalizzato a rilanciare la delocalizzazione, in vista di un nuovo quadro politico in Provincia
Infatti, Formigoni plana a Como in occasione delle elezioni provinciali e lancia la proposta provocatoria di Lora (area dei preti guanelliani), alla quale l'assessorato al territorio della Provincia rilancia con un progetto sull'area San Carpoforo (attigua all'attuale sede).

Si vota e, come previsto, anche a Como si forma una Giunta provinciale della casa delle libertà: è il preludio alla marcia indietro della Lega, per la quale serve solo tempo, ed il tempo si trova. L'assessorato alla sanità viene assegnato ad un esponente di AN, che attiva le dovute sinergie con Borsani e con il nuovo manager del S.Anna, entrambi della stessa collocazione politica

Viene stabilito il 15 ottobre come data ultima per trovare un accordo, si passa poi a novembre, poi si tergiversa ancora, ma nel frattempo matura l'accordo su Tre Camini/San Fermo.

Nel 2003 l'accordo di programma non è ancora siglato, tuttavia questi cambiamenti nel quadro politico segnano un scarto nelle strategie aziendali, che inizia a ragionare come se il nuovo ospedale fosse già realtà, senza più trovare opposizione politica sul territorio. E' in questa fase che l'abbandono dei presidi periferici assume dimensioni preoccupanti, al punto da spingere il Consiglio provinciale ad interrogarsi in merito chiedendo garanzie per Menaggio, Mariano, Beldosso. Garanzie che ovviamente non vengono date, per il semplice fatto che si nega l'esistenza del problema e ci si fa scudo con la sinergia pubblico privato, a tutto vantaggio dei presidi di Gravedona, di Lanzo, di Erba e/o Alzate B.za.

Anche in città, le carenze della struttura pubblica aprono enormi spazi ai privati: sono gli anni del progetto di ampliamento del Valduce (oggetto del desiderio della CdO) e della ristrutturazione nella Ticosa privata del padiglione ex industriale che oggi ospita il san Nicolò.

Se l'orizzonte è fosco, tuttavia il lavoro di opposizione alla delocalizzazione ha dato i suoi frutti nel diffondere una coscienza più ampia di cosa significhi nei fatti il modello sanitario lombardo: passando attraverso il comitato per la difesa della sanità pubblica, si arriva (senza una continuità lineare ma per balzi temporali nei quali però cresce la comprensione del problema) alla manifestazione del 29 novembre 2003, presso l'area Tre Camini, nella quale si registra l'adesione compatta del centro sinistra e di tante associazioni; oltre 300 cittadini partecipano al corteo che "riporta a casa" l'ospedale
Nel sondaggio telefonico del giornale La Provincia stravince il no alla delocalizzazione.

Sordi ad ogni sollecitazione, Regione, Provincia e Comuni (tutti di centro destra) firmano l'accordo di programma il 13 dicembre 2003.

Dopo l'acquisizione dei terreni del Conte Giulini da parte della Provincia (permuta alla pari con i ben più pregiati terreni di Cassina Rizzardi) si procede alla riperimetrazione dell'area e si riparte con la progettazione, affidata alla società regionale Infrastrutture Lombarde Spa. Tutto ciò richiede altri tre anni di beghe politiche e pasticci burocratici

La posa della prima pietra, mercoledì 15 novembre 2006, apre di fatto la campagna elettorale di primavera. Per ora è facile nascondere i nodi ancora aperti, poi si vedrà. Ancora una volta l'opposizione di manifesta con un presidio davanti al vecchio ospedale, con esponenti dei partiti di centro sinistra, associazioni. Sindacati.

Si vede quindi che, nonostante il lavoro di Formigoni per allontanare la gestione sanitaria dai luoghi del confronto democratico, questa lunga vicenda mette in mostra una buona reattività delle istituzioni (magari non sempre per nobili motivi) e della comunità locale, almeno nei suoi settori più coscienti. Reattività che, in misura differenziata e meno continuativa, si registra anche nei percorsi a difesa dei presidi minori, sempre con un elemento comune che è la presenza attiva dei lavoratori.

Questi i tratti essenziali di una preistoria che è bene non dimenticare, per concentrarci però sull'ultimo biennio e sull'anno in corso, con l'augurio che il voto di maggio ci porti qualche ragione di speranza.

Quali sono i nodi ancora aperti?
Sul piano delle procedure e della realizzazione dell'opera:
- il nodo Astaldi
- Infrastrutture Lombarde le modalità di appalto
- la viabilità di accesso (18 milioni di Euro) e il trasporto pubblico (Cinemas)
- i finanziamenti (di sicuro c'è solo l'ex O.s.a.r.e.)
- le "compensazioni" per San Fermo (S.F. Servizi)
- i vincoli ambientali (deviazione dei corsi d'acqua, reperti archeologici)
- il destino delle aree di via Napoleona e dell'ex O.P. San Martino

Sul piano sanitario e dei diritti:
- il rapporto pubblico/privato
- la soddisfazione del bisogno di salute sul territorio, con un nuovo ospedale che appare assai distante dal rispondere alle esigenze più diffuse, in quanto privilegia l'alta specializzazione, ma nel contempo drena risorse all'azienda nel suo insieme e lascia scoperto il territorio (Beldosso, Mariano, Menaggio sono ormai al termine della loro parabola, Cantù è in serie B, F.B.F. Erba va monitorato con la massima attenzione, vedi vicenda Crepaldi)
- i processi di precarizzazione del lavoro
- il tavolo sanitario provinciale/nuovo codice AALL

Proprio mentre il modello sanitario lombardo presenta vistose crepe (caso Cè/Bresciani: sul 118 e in generale sui servizi di emergenza c'è un altro terreno di commistione affari-politica, a Como quasi interamente ad appannaggio di AN; nuovo piano sanitario regionale meno "aggressivo"), viaggiamo verso un punto di non ritorno dei suoi effetti, in un territorio strutturalmente più fragile sul versante pubblico.

Questo ci chiama ad un rinnovato impegno, in termini di proposte e di mobilitazione, con uno sforzo anche per non disperdere quel piccolo (ma non troppo) patrimonio di lotte e di saperi che grazie alla vicenda S.Anna si è sedimentato.

Non serve, in questa prospettiva, l'atteggiamento benevolo dell'Ulivo del Nord (Benzoni) che sembra dimenticare - forse per non averlo mai ben compreso dall'inizio - l'insegnamento di nove anni di storia.



AMBIENTE E SALUTE
Edy Borgianni

Nel corso del secolo passato il concetto di salute ha assunto un significato più ampio, non più solo assenza di malattia o di altri problemi fisici, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, come definito dall’OMS; un diritto che impegna gli Stati a non limitarsi alla semplice gestione di un sistema sanitario, ma anche a modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute collettiva e a promuovere azioni per favorire i fattori positivi.
Negli ultimi anni, parallelamente, è venuta crescendo una sempre maggiore consapevolezza della correlazione fra ambiente e salute umana, dell’influenza che l’ambiente ha sulla salute dell’uomo.
In tale ottica si deve considerare come tutto ciò che viene immesso nell’ambiente possa successivamente avere conseguenze negative sulla salute e non solo da un punto di vista fisico, malattie respiratorie, cancro ecc., ma anche per quanto riguarda il benessere psicologico. Fin dal 1999 la ricerca sui costi sanitari dovuti all’inquinamento atmosferico da traffico, completato in Francia, Austria e Svizzera ha evidenziato che il trasporto, in particolare quello su strada è la fonte principale di esposizione al rumore in ambito urbano. Livelli di rumore che superino per intensità i 55 d(B)A sono correlati a disturbi del sonno e della comunicazione e possono interferire negativamente con la capacità di concentrazione. I bambini esposti cronicamente a forti rumori, per esempio in prossimità degli aeroporti, possono mostrare difficoltà nell’apprendimento, nell’imparare a leggere, e nell’acquisire la capacità di risolvere problemi. Il trasporto può avere, inoltre, rilevanti effetti di tipo psico-sociale, tra i quali stress, comportamenti a rischio, aggressività, depressione e gli effetti psicologici post-traumatici in seguito ad incidenti. Lo stile di vita sempre più sedentario della maggioranza della popolazione, dovuto in gran parte all’abbandono degli spostamenti a piedi o in bicicletta a vantaggio dell’automobile o del ciclomotore è, assieme al fumo, fra i più importanti fattori di rischio per l’insorgere di malattie cardio-circolatorie, diabete, ipertensione e mortalità precoce. Qualora una moderata attività fisica venisse praticata come parte integrante delle attività quotidiane – per esempio camminando o andando in bicicletta per un totale di circa 30 minuti al giorno, anche se suddivisi in periodi di 10-15 minuti ciascuno – sarebbe possibile ottenere una riduzione di circa il 50% nel rischio di sviluppare malattie coronariche, diabete ed obesità e di circa il 30% nel rischio di sviluppare ipertensione. Il traffico veicolare è tra le cause dell’inquinamento urbano dell’aria, insieme al riscaldamento degli edifici, agli impianti industriali ed energetici.
Una grande massa di veicoli in continuo movimento provoca la liberazione nell’aria di varie sostanze, dalle particelle dei pneumatici e ai prodotti di scarico. Più alta è la concentrazione nell’aria di particelle maggiore è l’effetto sulla salute della popolazione. Il particolato PM10 è tra gli elementi più nocivi e può raggiungere le più profonde vie respiratorie trasportando sostanze altamente inquinanti e spesso cancerogene. Gli idrocarburi volatili e il monossido di carbonio penetrando nei polmoni, raggiungono poi altri organi tramite il sangue e possono danneggiare sensibilmente e permanentemente i sistemi di difesa naturali del nostro organismo.
Già nel 1999 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva segnalato che l’inquinamento da traffico a livello europeo era correlato ad 80.000 decessi. E Paolo Crosignani dell’Istituto dei Tumori di Milano ha affermato che per ogni 10 mg/metrocubo in più di PM10 – tenendo conto che in natura il PM10 è presente con un valore di 10 mg/mcubo - respirati per 10-15 anni la vita è ridotta di circa 6 mesi, pertanto se si riuscisse a scendere a 30 mg/mc di media annuale si risparmierebbero parecchie morti.
Quello che conta non è il numero del superamento con dei picchi della soglia stabilita di PM10, ma la media, infatti, è molto più dannoso vivere tutto l’anno con una media ad esempio di 49 che vivere a 30 con qualche punta di 70 mg/mc.
La stessa OMS, con la recente pubblicazione delle nuove linee guida sulla qualità dell’aria, ha evidenziato che abbassando l’inquinamento di un particolare tipo inquinante quale il PM10 da 70 a 20 mg/mc si possono ridurre i decessi fino al 15% l’anno nelle città inquinate.
La ricerca svolta in Francia, Austria e Svizzera ha anche rilevato che l’inquinamento da traffico nei tre paesi causa circa 300.000 casi di bronchite nei bambini e più di 15.000 ricoveri ospedalieri per malattie cardiache, 395.000 attacchi d’asma negli adulti e 162.000 nei bambini.
Maria Neira, direttore OMS per la Sanità Pubblica e l’Ambiente di Ginevra ha dichiarato che abbassando i livelli dell’inquinamento atmosferico si possono aiutare i paesi a diminuire patologie quali infezioni respiratorie, malattie cardiache e cancro ai polmoni, inoltre, gli interventi per la riduzione dell’impatto diretto dell’inquinamento atmosferico hanno anche l’effetto di diminuire le emissioni di gas che contribuiscono al cambiamento climatico, favorendo in tal modo ulteriori guadagni in salute.
Gli elementi inquinanti però possono anche finire nel piatto e nell’acqua che beviamo.
Le sostanze tossiche già presenti in natura negli alimenti sono state incrementate da sorgenti industriali. I contaminanti di origine antropica possono entrare in contatto con i cibi durante la produzione, lo stoccaggio o il trasporto.
Da un’analisi di Gianluca Tognon - nutrizionista e consulente presso il Centro di Prevenzione Oncologica di Firenze (pubblicazione WWF “Dal mercurio alla diossina: viaggio alla scoperta dei pericoli nel piatto”) si rileva che l’esposizione all’arsenico, già ampiamente diffuso in natura, avviene principalmente attraverso il cibo (in particolare il pesce) e l’acqua potabile.
La fusione di metalli non ferrosi e la produzione di energia da combustibili fossili, rappresentano i due processi industriali maggiormente colpevoli dell’inquinamento di aria, acqua e suolo. L’esposizione a lungo termine ad acqua contaminata con arsenico provoca un incremento del rischio di sviluppare cancro alla pelle, oltre ad altri danni cutanei. L’esposizione per inalazione predispone al cancro ai polmoni (OMS 2001).
Negli alimenti si trovano tra le sostanze nocive di origine industriale anche i composti diossino-simili e le diossine. Nei soggetti esposti a tali sostanze nocive si possono avere manifestazioni tossiche quali iperpigmentazione, edemi subcutanei a livelli del viso, rigonfiamenti delle palpebre, disturbi della vista, difficoltà uditive. In popolazioni fortemente esposte sono state riscontrate un’aumentata incidenza di cancro al fegato e di effetti sulla riproduzione (Borlakoglu e Dils, 1991)
Le diossine ed i composti diossino-simili sono fra le sostanze più tossiche, contaminano il suolo e le acque e penetrano nella catena alimentare.
Le diossine sono in particolare il prodotto dell’incenerimento dei rifiuti, né l’utilizzo alternativo dei termovalorizzatori, con i quali attraverso la lavorazione dei rifiuti si produce energia elettrica, risolve il problema, in quanto non eliminano a priori l’emissione di diossine nei fumi di scarico dispersi nell’atmosfera circostante.
In casa nostra la situazione non è tranquillizzante visto che la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia per la definizione restrittiva di “rifiuto” introdotta nella normativa nazionale nel dicembre 2004. Grazie a questa legge, ad esempio, i rifiuti urbani utilizzati come combustibili nei forni per cemento o nelle centrali elettriche sfuggono alle disposizioni delle normative comunitarie che disciplinano i rifiuti e l’incenerimento dei rifiuti, ne risulta un rischio potenziale per l’ambiente e per la salute umana dovuto alle emissioni incontrollate di sostanze chimiche come le diossine.
La stessa industria alimentare è causa di degrado ambientale. L’allevamento intensivo di maiali, mucche, pecore e polli, secondo la FAO, degrada l’ambiente, contribuendo all’effetto serra, all’inquinamento delle riserve dell’acqua e distrugge la biodiversità.
Il settore dell’allevamento è, infatti, responsabile del 18% delle emissioni globali di gas serra, più che i trasporti che ne emettono il 13,5%.
Gli animali da allevamento producono oltre al 9% dell’anidride carbonica derivante dalle attività umane un’alta percentuale di gas serra come per esempio il 65% delle emissioni di ossido nitroso, un gas che contribuisce al riscaldamento terreste 296 volte di più del biossido di carbonio, provenienti da gran parte del letame.
Dal sistema digestivo dei ruminanti viene generato il 37 % di tutto il metano prodotto da attività umane che contribuisce al riscaldamento terrestre più di 23 volte dell’anidride carbonica.
Sotto accusa è l’intero processo produttivo, incluse, quindi, le emissioni generate dalla produzione di foraggio e fertilizzanti, dalla deforestazione necessaria a creare nuovi pascoli, dal trattamento del letame e dalle emissioni prodotte dagli stessi animali.
Le foreste tropicali, come in Amazzonia, sono abbattute per far posto ai pascoli, mentre le acque dolci rimanenti nel mondo sono contaminate dai rifiuti degli animali e dai pesticidi.
Massimo Tettamanti, chimico ambientale, segnala che in Italia gli animali da allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezioni a scarso contenuto organico, che non possono essere utilizzate come fertilizzante. Attualmente lo smaltimento di questi liquami avviene per spandimento sul terreno, il che provoca il grave problema di inquinamento da sostanze azotate che causa la contaminazione delle falde acquifere, dei corsi d’acqua di superficie e l’eutrofizzazione dei mari.
Anche i farmaci somministrati agli animali possono passare nell’ambiente con i reflui e residuare nei suoli, nei vegetali, nelle acque e, quindi, negli alimenti di cui si ciba l’uomo, come le verdure e il pesce.
In un’epoca in cui tutto è rapportato all’economia, in cui le strutture sanitarie dimettono i pazienti anzitempo per rispettare il budget, in cui vengono anche rifiutati esami clinici ritenendo eccessivi i costi, qualora la situazione dell’individuo, pur sofferente, non è fortemente invalidante, in cui in Lombardia sono state escluse alcune tipologie di cure, sempre per rispettare il budget, non può essere sottovalutato l’impatto che ha sull’economia la mancanza di tutela ambientale. Attualmente maggiori spese significano meno cure.

 


LA CURA DEGLI ANZIANI MALATI E NON AUTOSUFFICIENTI
Elisabeth Cosandey

Premessa.
La non autosufficienza sembra essere un problema che preoccupa grandemente la nostra società, particolarmente i governanti. La preoccupazione è naturalmente di ordine economico. La società europea che si chiude agli immigrati si riscopre vecchia, fa delle previsioni catastrofiche e propone misure che ricadono direttamente sui cittadini. Lo Stato Sociale in via di smantellamento non cerca di affrontare i bisogni di salute della popolazione anziana. La medicina ha altri e più alti traguardi (trapianti, biologia molecolare ecc.) e non si china a curare acciacchi o patologie croniche, ricorrenti. Tendenzialmente, la persona anziana non è un malato ma una persona da assistere.
La nostra posizione è diversa: la causa della cronicità e non autosufficienza è per la stragrande maggioranza dovuta a malattia e solo in minima parte al decadimento fisico e dunque il Servizio sanitario nazionale se ne deve fare carico. Tra le finalità del SSN (Servizio Sanitario Nazionale) vi è “ la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata. Sempre nell’articolo 2 della legge di Riforma Sanitaria n°833 si afferma che il SSN “assicura la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione”.

Ricordiamo il quadro normativo che tutela i diritti delle persone anziane malate e non autosufficienti:
- in base alla legge 4 agosto 1955 n. 692, l’assistenza sanitaria deve essere fornita senza limiti di durata alle persone colpite dalle malattie specifiche della vecchiaia; i lavoratori hanno versato e versano contributi allo Stato che si è impegnato di assicurare i necessari trattamenti nei casi di malattia acuta e cronica;
- - l’art. 29 della legge 12 febbraio 1968 n.132 impone alle Regioni di programmare posti letto degli ospedali tenendo conto delle esigenze dei malati “acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti”.
- - la legge 13 maggio 1978 n.180 stabilisce che le Usl devono garantire a tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro età, i necessari servizi direttti alla prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie mentali; le Province hanno trasferito alle USL il personale e i finanziamenti concernenti tutti i pazienti psichiatrici, compresi quelli anziani auto e non autosufficienti.
- l’art. 54 della legge 289/2002 concernente i LEA (Livelli essenziali di assistenza) conferma il diritto esigibile alle cure sanitarie.

Per quanto riguarda gli oneri economici a carico dei pazienti ricoverati e dei loro familiari per il pagamento della retta richiesta dalle strutture residenziali (RSA), facciamo riferimento all’art. 25 della legge 328/2000(Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che rimanda al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.109, successivamente modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n.130, chiarendo che nessun contributo economico può essere richiesto ai parenti, compresi quelli conviventi con l’assistito, qualora questi sia un ultra sessantacinquenne non autosufficiente o un soggetto con handicap in situazione di gravità.

Dobbiamo costatare una generale mancanza di informazione e una mancanza di coscienza dei diritti nella popolazione su questi temi. Sappiamo che le leggi,anche le migliori,non vengono applicate in modo automatico e quindi spesso rimangono “lettera morta”. Anche i Comuni si rivolgono per il pagamento delle rette direttamente sugli utenti e sui familiari e non trattano con la Regione per ottenere ciò di cui parlano i LEA, ovvero oneri a carico della sanità per il 50% dei costi e l’altra metà a carico dell’utente e/o del Comune. E’ ancora fondamentale il ruolo delle associazioni e dei partiti più sensibili sui temi sociali e dei diritti diffondere informazioni e sostenere concretamente i cittadini con segnalazioni alle Istituzioni e se non basta aprendo vertenze o cause giudiziarie.

Politiche della Regione Lombardia e situazione dei servizi :
L’attuazione della legge 31 del 1997 ha voluto riordinare la sanità secondo un ottica di “quasi mercato” con una organizzazione aziendalistica.L’ospedale concentra la quasi totalità delle risorse.Le ASL finanziano e acquistono prestazioni nel pubblico e nel privato. Il Dipartimento delle attività socio-sanitarie integrate (ASSI) ha esternalizzato 80% dei suoi servizi e come risulta da una recente ricerca della CISL sul sistema lombardo mancano di più i servizi di primo livello per prendere in carico la domanda di salute, per garantire l’accesso all’insieme dei servizi socio-sanitari e per assicurare la continuità assistenziale. Sono molto frequenti le dimissioni selvagge”dagli ospedali, il ricorso massiccio alle RSA e l’erogazione dei voucher al posto dei servizi di assistenza domiciliare.
Nella Provincia di Como i posti letto nelle RSA, nel 1997 erano 2.610 e nel 2006 sono diventati 4.161. La retta giornaliera a carico degli ospiti, nel 2006 era di 51,83E. diventata 56,64E. nel 2007 con un aumento del 9,2%.
La disponibilità di posti letto di cura e riabilitazione tra pubblico e privato ha seguito questo andamento tra il 1997 e il 2005:
nel pubblico,i posti sono passati da 36.033 a 24.244 con un decremento del 32%
nel privato, i posti sono passati da 12.615 a 13.020 con un incremento del 3,2%.

Affermiamo la necessità di un diverso approccio per la popolazione anziana e per dare le risposte corrette ai loro bisogni.Una proposta di legge regionale di iniziativa popolare per il “Riordino degli interventi sanitari a favore degli anziani malati cronici non autosufficienti e di tutte le persone affette da patologie ad alto rischio invalidante” presentata nel febbraio 2001, è stata bocciata in Commissione e quindi mai discussa in Consiglio. Prevedeva la istituzione presso la ASL di un Dipartimento delle patologie ad alto rischio invalidante per garantire e coordinare l’insieme delle strutture e dei servizi, ovvero:
L’unità valutativa geriatria e della non autosufficienza
Il servizio di cure domiciliari
I Centri diurni
Il Day Hospital
Le RSA e le comunità terapeutiche
Gli istituti di lungodegenza riabilitativa
Il patrimonio di idee, esperienze e cultura non va comunque disperso. Un progetto per la realizzazione della “Casa della salute” mette di nuovo le basi per lavorare sul territorio, facendo prevenzione e educazione alla salute ( importanza della alimentazione, dell’ esercizio fisico, del rendersi utile socialmente e culturalmente dopo la pensione), accoglimento e orientamento della domanda (epidemiologia, sportelli unificati sanitari e sociali) qualificazione e valorizzazione delle cure primarie con un nuovo rapporto con la medicina specialistica e un ruolo responsabile negli ingressi e dimissioni degli ospedali; nella Casa della salute possono essere garantite le cure domiciliari con un buon lavoro di equipe.
La Casa della salute mette al centro la partecipazione dei cittadini ,forse tocca a noi cominciare a costruirla dal basso, senza mura o strutture ma producendo iniziative, difesa dei diritti, corsi di formazione, rapporto con operatori disponibili perché critici o sofferenti nel loro ruolo professionale.

Il fondo per la non autosufficienza
Proposta sostenuta da quasi tutti i partiti anche del centro sinistro, tranne il PRC, e dal Sindacato, questo fondo non può essere a carattere nazionale perché materia di competenza regionale. Infatti ,in diverse Regioni è stato attivato nelle forme più varie.
Va contrastato in primo luogo ogni tentativo di togliere forme di previdenza come ad esempio il trasferimento dell’assegno di accompagnamento al fondo per la non autosufficienza.Inoltre il fondo non dovrebbe servire alla distribuzione di più voucher, ma al ripensamento del sistema dei servizi.

Tracce di lavoro
Un ruolo che ciascuno di noi può svolgere è quello di essere attivo e vigile, pronto a raccogliere una domanda ,a fornire informazioni, a mettersi in relazione con le Associazioni che difendono i diritti.Vanno contrastate in particolare le pratiche di dimissioni “selvagge” dagli ospedali (chiedere alle Associazioni il modulo/lettera di opposizione alle dimissioni )e la non applicazione del D.L. 130/2000 relativo alle rette nelle strutture residenziali.
La stessa vigilanza può essere rivolta verso le RSA per quanto riguarda la qualità e la cura degli anziani, eventuali casi di incuria o di maltrattamento vanno subito segnalati e laddove ci sono, vanno sostenuti i Comitati dei parenti.



HOLCIM: L’INCENERITORE DI MERONE
Circolo Ambientale “Ilaria Alpi”

  (vedasi www.circoloambiente.org/cementeria.html )