da GrandiNotizie.it del 21 febbraio 2001

La difficile situazione mediorientale
Acqua armata
Quando il controllo dei bacini scatena conflitti

Il Medio Oriente è, insieme al Nord Africa, una delle regioni più aride del pianeta. Costituisce infatti il 10 per cento della superficie terrestre ed è abitata dal 5 per cento della popolazione mondiale, ma dispone del solo 0,4 per cento delle risorse idriche. è stata, sempre insieme all'Africa, una delle prime zone in cui è iniziata a mancare l'acqua negli anni '70 e oggi la maggior parte dei Paesi sono al di sotto della soglia considerata critica (1.000 metri cubi di acqua per abitante all'anno) e alcuni (Israele, Giordania, Cisgiordania, Gaza) sono al di sotto della soglia considerata di "assoluta povertà" (500 metri cubi per abitante all'anno).

A meno di radicali misure adottate a breve termine, la situazione in futuro non potrà che peggiorare, tenuto anche conto del fatto che accanto ai fattori di crisi tradizionali (crescita demografica, evoluzione degli stili di vita, aumento della domanda da parte dei settori economici emergenti) la regione mediorientale presenta peculiari caratteri che rendono problematico lo sfruttamento delle già scarse risorse idriche.

Infatti, al clima arido, alla scarsezza delle piogge e alla conformazione geologica prevalentemente montagnosa, si unisce il fatto che la maggior parte dei bacini acquiferi o attraversano più Paesi o sono collocati sui confini fra più Stati o, ancora, si trovano su regioni occupate in vecchi conflitti e su cui ancora oggi diversi Stati rivendicano la sovranità. Si è stabilita così una sorta di multiproprietà delle riserve di acqua che crea, nel migliore dei casi, più o meno eque spartizioni e, nel peggiore, veri e propri scontri per il controllo e lo sfruttamento dell'acqua.

è questo il caso della situazione che si è venuta a creare tra palestinesi e israeliani per quel che riguarda l'utilizzo delle risorse presenti nei Territori Occupati. Ciò ha causato numerosi conflitti nel passato e oggi come allora rende fortemente problematico, se non addirittura impossibile, il raggiungimento di un accordo di pace definitivo tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese.


La questione israelo-palestinese
Oggi Israele, con il valore annuo di circa 380 metri cubi di acqua per abitante, si situa nella fascia di "assoluta povertà". Tuttavia all'interno del più vasto panorama mediorientale gode di una situazione che potrebbe definirsi di privilegio. La sua disponibilità di acqua, infatti, è tre volte quella goduta dalla popolazione palestinese residente nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, che attualmente ammonta a circa 115 metri cubi per abitante.

Le ragioni di un tale squilibrio sono da rinvenirsi principalmente nel fatto che Israele occupò nel 1967 i territori in cui erano presenti le maggiori risorse idriche del Medio Oriente e sul fatto che successivamente tali risorse vennero poste sotto il rigido controllo militare israeliano.

Così oggi il 60 per cento dell'acqua consumata in Israele proviene dalla Cisgiordania - dove sono presenti le falde acquifere montane della Giudea e della Samaria - dalle alture del Golan - dove nasce il fiume Bania che alimenta il lago Tiberiade e il fiume Yarmuk - e dal Sud del Libano - dove scorrono i fiumi Hasbani e Litani. Tutti territori questi di cui l'occupazione non è mai stata riconosciuta a livello internazionale, ma di cui Israele continua a mantenere, attraverso il controllo militare e una rigida legislazione ad hoc, il diritto allo sfruttamento delle risorse primarie qui presenti.

Esemplare è il caso delle leggi promulgate dal governo israeliano all'indomani della guerra dei sei giorni (1967) riguardanti i bacini d'acqua presenti sotto le colline della Giudea e della Samaria, in Cisgiordania. In esse veniva sancito in particolare il divieto nei confronti dei palestinesi di scavare nuovi pozzi senza l'autorizzazione delle autorità militari israeliane, l'installazione di contatori sui pozzi dei palestinesi, l'espropriazione delle terre e dei pozzi abbandonati dagli arabi successivamente all'occupazione israeliana, il divieto di colture a sfruttamento intensivo d'acqua.

Da segnalare che mentre i coloni presenti in tale regione hanno continuato ad aprire nuovi pozzi senza restrizione alcuna, ai residenti palestinesi, dal 1967 ad oggi, sono stati concessi solo 34 permessi per scavare nuovi pozzi. Si è così creata una situazione assolutamente iniqua. Secondo i dati resi noti dalla Banca mondiale attualmente il 90 per cento dell'acqua della Cisgiordania viene utilizzata a beneficio di Israele mentre i palestinesi dispongono del solo 10 per cento il restante. E questo nonostante negli ultimi anni l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e Israele avessero firmato accordi che prevedevano una diversa, più paritetica, distribuzione dell'acqua. In particolare dopo che il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin firmarono l'accordo di Oslo e la Dichiarazione dei Principi (rispettivamente il 20 agosto e il 13 settembre 1993), in cui si riconosceva la costituzione di un'Autorità nazionale palestinese cui spettava il governo e l'amministrazione progressiva di Gaza e di Gerico, il 28 settembre 1995 venne siglato il cosiddetto accordo temporaneo di Oslo II, che prevedeva l'estensione del controllo dell'Anp ad altre aree della Cisgiordania e il ritiro parziale delle truppe israeliane da questa regione e dalla striscia di Gaza. Inoltre nell'articolo 40 dell'accordo si dichiarava che "Israele riconosce i diritti dei palestinesi sull'acqua in Cisgiordania". Questo, tuttavia, era un accordo temporaneo, appunto, e i governi israeliani che si sono succeduti nel corso degli anni hanno costantemente rimandato l'applicazione di quanto stabilito, affermando che lo statuto finale delle risorse idriche sarebbe dovuto essere trattato, insieme alla questione dei coloni e alla sistemazione e al controllo di Gerusalemme, negli accordi finali permanenti tra le due parti. Accordi, però, che secondo quanto affermato nello stesso Oslo II, sarebbero dovuti essere raggiunti prima del 13 settembre 2000, data ormai superata senza che sia stato compiuto alcun passo avanti.


La crisi si acuisce
Anzi, dopo tale data la situazione fra israeliani e palestinesi è entrata in una fase di profonda crisi come non si registrava da diversi anni. Dal 28 settembre 2000, infatti, in seguito alla visita alla Spianata delle Moschee del leader del Likud e oggi primo ministro israeliano Ariel Sharon, è scoppiata la cosiddetta "Seconda Intifada" o "Intifada di Al-Aqsa" che in circa cinque mesi di scontri ha causato la morte di oltre 400 persone, per la maggior parte palestinesi. Più volte i negoziatori si sono seduti al tavolo delle trattative, ma i colloqui si sono ogni volta arenati sulle solite questioni irrisolte: lo status di Gerusalemme, i coloni israeliani, il ritorno dei profughi palestinesi. Sul controllo e lo sfruttamento delle risorse idriche, almeno apparentemente, il conflitto non sembra raggiungere i livelli raggiunti da queste altre questioni. Ma in realtà le cose stanno diversamente. Ciò era riconosciuto dallo stesso premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin che, quando ricopriva l'incarico di primo ministro di Israele, dichiarò: "Senza accordo sull'acqua, non ci sarà nessun accordo".

Attualmente i palestinesi residenti in Cisgiordania lamentano i continui razionamenti e le improvvise interruzioni di acqua a cui vanno soggetti, di contro all'enorme quantità messa a disposizione dei coloni israeliani; mentre la striscia di Gaza, zona caratterizzata da un clima arido e povera di risorse idriche, è stata giudicata da un rapporto della Banca mondiale la regione in cui la situazione è "la più inquietante del mondo", condannata a veder peggiorare sempre più la propria situazione se non riuscirà a stabilire un collegamento idrico con le risorse presenti in Cisgiordania. Israele d'altro canto, per cause che sono da ricercare non solo nell'attuale politica economica nazionale e nella legislazione vigente, ma anche nei tradizionali valori ebraici legati all'acqua tutt'oggi vivi e imperanti in Israele, non può permettersi di cedere ai palestinesi né le falde acquifere della Cisgiordania, che da sole soddisfano il 40 per cento del bisogno idrico del Paese, né l'accesso al Giordano le cui acque, scorrendo il fiume al confine tra Giordania e Israele, lo stato ebraico divide già a fatica col Regno Hashemita.

Se oggi, come del resto negli ultimi cinquant'anni, le parti in causa non sono riuscite a raggiunger un accordo su tale questione, appare ancora più difficile che si giunga ad una soluzione negli anni a venire. Infatti, ad una situazione mondiale di per sé critica (secondo un rapporto della Banca mondiale risalente al 1995 "la Terra è minacciata da una crisi gravissima di acqua. La domanda mondiale di acqua raddoppia ogni 20 anni e oggi 80 paesi, il 40 per cento della popolazione mondiale, sono toccati dalla crisi idrica") si unirà la peculiare situazione israeliana la cui popolazione, soprattutto a causa dell'imponente migrazione dall'ex Unione Sovietica, arriverà tra breve a raggiungere i sei milioni di abitanti. Causando un vertiginoso aumento della domanda d'acqua.

Simone Collini/Grandinotizie.it/21 febbraio 2001