DIOCESI DI CASERTA - LETTERA AI SACERDOTI
L’Acqua, bene indispensabile ed inalienabile, dono inestimabile del Creatore per tutta l’umanità, da cui dipende insostituibilmente la vita di tutti gli esseri viventi, non può essere assolutamente trattata come una merce.
Stiamo, pertanto, seguendo con grande interresse e apprensione la
problematica circa la “privatizzazione dell’acqua”, ad opera di consorzi
integrati, i quali, al fine di ottimizzare la gestione dei servizi idrici,
hanno, in effetti, lo scopo ultimo, secondo noi, di arrivare ad una totale
privatizzazione di un tale bene.
Sembra che la suddetta questione,
conosciuta solo da pochissime persone e da qualche “addetto ai lavori”, non sia
mai stata oggetto di attenta riflessione e di pubblico dibattito.
Solo
recentemente si è avuto modo di essere informati sull’attuale e grave situazione
circa la privatizzazione dell’acqua, grazie, soprattutto, a dei comitati civici
che si sono costituiti un pò in tutta Italia, e in questi ultimi giorni anche a
Caserta, sia per sensibilizzare la cittadinanza sia per contrastare scelte
politiche che non tutelano il bene comune.
I consorzi costituiti per
razionalizzare e gestire il servizio idrico sono denominati “ATO” (=ambito
territoriale ottimale) e per le province di Napoli e Caserta prende il nome di
ATO2. Esso è formato fondamentalmente dagli amministratori dei comuni e dai
rappresentanti delle suddette province.
Gli ATO sono previsti dalla legge
Galli del 1994 per ottimizzare i servizi idrici e darli, poi, in gestione a
società per azioni. La Galli prevede tre modalità di gestione:
1. a società a
capitale interamente pubblico (affidamento in house);
2. a società a capitale
misto pubblico/privato;
3. a società di capitali privato a seguito di gara
europea.
Il 23 novembre 2004 in una plenaria dei Comuni di ATO2, tenutasi a
Napoli, il consiglio di amministrazione del medesimo ha scartato, a priori, la
prima delle modalità di gestione chiedendo di scegliere, tramite voto, solo tra
la seconda e la terza opzione. Il 54% dei votanti, tra cui alcuni sindaci con
diverse deleghe, ha votato per la società a capitale misto (60% pubblico e 40%
privato).
Nella delibera votata è anche previsto che nell’anno immediatamente
successivo all’entrata in vigore della nuova gestione, il pubblico passi al 51%
e il privato al 49%, e che, al terzo anno, l’ATO inizi ad avviare il
procedimento di dismissioni della propria partecipazione azionaria nella società
e, quindi, realizzare la totale privatizzazione.
Di fronte a tale scelta
alcuni Comuni, associazioni e movimenti si stanno mobilitando per far annullare
la delibera e creare consensi circa la prima modalità di gestione (a società a
capitale interamente pubblico denominata anche “affidamento in house”) in quanto
offre migliori garanzie per i cittadini. Si è fatto ricorso, a tal fine, anche
alla magistratura intraprendendo opportune azioni legali.
Non vogliamo
entrare nel merito circa la non facile questione della gestione tecnica dei
servizi idrici. Non è di nostra competenza.
Quello che ci preme maggiormente
e vogliamo mettere in risalto è, invece, la questione etica e pastorale della
problematica.
Occorre aiutare la nostra gente a capire che l’acqua è un bene
fondamentale per la vita delle persone e che essa, da sempre, è stata
considerata un bene demaniale, che appartiene, cioè, a tutti i cittadini.
La
qualità della vita dell’essere umano è seriamente compromessa quando essa viene,
in qualche modo, contaminata e senza di essa l’esistenza stessa, non solo della
persona umana, ma di ogni essere vivente, automaticamente, verrebbe meno.
E
in particolare, in questo determinato momento storico, la questione della
privatizzazione dell’acqua, non solo, è di vitale importanza ma si impone con
una certa urgenza, almeno per tre ragioni fondamentali:
- la scarsità delle
acque dovute all’innalzamento della temperatura del globo terrestre. In futuro,
affermano gli scienziati, avremo sempre meno acqua;
- la piccolissima
percentuale di acqua che è immediatamente usufruibile. Studi accurati dichiarano
che solo il 2% dell’acqua presente sul nostro pianeta si può utilizzare per
bere, per lavarsi e per le altre attività umane;
- la continua
“mineralizzazione” e l’inesorabile “imbottigliamento” delle acque potabili ad
opera delle grandi multinazionali dell’acqua. Queste ultime cercano, in tutti i
modi, di “accaparrarsi” le riserve e le fonti idriche del mondo per poi
strumentalizzarle a scopi economici.
È giusto, allora, chiedersi seriamente e non senza qualche motivata
preoccupazione: “A cosa ci porterà la privatizzazione dell’acqua?”.
È quanto
mai semplice prevedere almeno due immediate e sicure conseguenze:
- un
aumento vertiginoso delle tariffe delle bollette dell’acqua, indipendentemente
dal reddito personale o familiare, da parte dei gestori-privati. Incrementi
incontrollabili che riguarderanno tutti, in maniera indistinta, in quanto, per
necessità, tutti sono costretti ad usufruire di questo bene indispensabile per
la vita umana, e quindi a dovere iniziare o a continuare ad utilizzare il
servizio idrico;
- un minor controllo circa la qualità delle acque per la
pubblica utilità. Il privato è interessato, prevalentemente, ai profitti
personali e non, primariamente, alla salute dei cittadini. Non solo. Se il
privato che gestisce è anche una multinazionale dell’acqua avrebbe pochissimi
buoni motivi, o forse nessuna intenzione, che venga garantita, sempre e
comunque, la salubrità delle acque, in quanto, una qualsiasi loro contaminazione
involontaria o procurata, vera o falsa, sarebbe occasione buona per creare
condizioni ottimali per facili ed immediati guadagni.
L’acqua è
indiscutibilmente vita. Da questa condivisa affermazione e dalla fondata
prospettiva della privatizzazione sorgono ulteriori e preoccupanti interrogativi
di carattere etico-pastorale.
A quanti, realmente, non potranno permettersi,
per tanti motivi, i costi esosi per questo primario diritto umano nonché
fondamentale servizio pubblico, sarà eticamente lecito chiudere le condutture
dell’acqua?
È moralmente giusto privare di un tale bene le case di famiglie
povere e numerose che risulterebbero essere le più colpite da una simile scelta?
Può un gestore-privato far adottare provvedimenti di ordine giudiziario
(sequestro, pignoramento di beni, ecc.) nei confronti di quanti sono
nell’impossibilità concreta di assolvere al pagamento dell’acqua?
Chi e come
garantire l’accesso indiscriminato di tutte le persone a questo bene
primario?
E, infine, chi è chiamato a vigilare in maniera indefettibile sulla
bontà delle acque destinate per il servizio pubblico senza che vi siano infami
speculazioni e false certificazioni a discapito della salute dei
cittadini?
L’acqua appartiene a tutti e tutti devono mobilitarsi perché
questo diritto naturale umano e sociale sia salvaguardato e non diventi una
merce nelle mani delle multinazionali.
Cosa possiamo fare?
Nel nostro
piccolo possiamo fare tanto. Ecco tre indicazioni di carattere pratico:
1. si
chieda un dibattito pubblico su tale questione ad ogni amministrazione
comunale;
2. si chieda al proprio sindaco se era presente all’assemblea
dell’ATO2, a novembre scorso, e quale scelta ha preso a nome dell’intera
popolazione;
3. si chieda di annullare la delibera e di riprendere in
considerazione l’opzione della gestione pubblica (affidamento in house) in
quanto offre più garanzie per i cittadini.
Vogliamo ribadire con forza, a
conclusione di questo documento, che a nessuno, ma proprio a nessuno, né
individualmente né come gruppo, può essere concesso di appropriarsi, in qualche
modo, dell’acqua a titolo di proprietà privata.
A tutti, invece, sia
garantita la possibilità di usufruire di questa fonte di vita
insostituibile.
L’acqua è sacra, non solo perché è prezioso dono del
Creatore, ma perché è sacra ogni persona umana, ogni uomo e donna della terra,
fatto ad immagine e somiglianza di Dio, che dall’acqua trae esistenza, energia e
vita.
Caserta, 27 febbraio 2005
+ Raffaele Nogaro – Vescovo di Caserta
Commissione pastorale
"No alla privatizzazione dell’acqua"