ALLUVIONI E RIQUALIFICAZIONE DEI FIUMI
Riflessioni tratte dalla conferenza ìRestituiamo spazio ai fiumiî
tenutasi a Costa Masnaga
Col contributo di Giuseppe Baldo del Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (CIRF).
Le alluvioni sono eventi causati da una molteplicità di fattori, ma è ormai evidente che le cause primarie vanno ricercate nella selvaggia gestione del territorio e dei fiumi.
L'urbanizzazione e l'industrializzazione agiscono come fattori moltiplicatori nel ridurre l'infiltrazione nel terreno delle acque piovane e la capacità di ritenzione idrica dei suoli.
Abbiamo finito così con l'impermeabilizzare la superficie di quella grande spugna che è il suolo. L'acqua che non viene assorbita dal suolo, produce due effetti devastanti: da una parte, nellí immediato, di raggiungere velocemente i fiumi e generare piene che gli alvei non sono più in grado di contenere, e dallíaltra di provocare in breve tempo magre troppo sbrigativamente attribuite alla siccità.
La nostra imprevidenza raggiunge l' irresponsabilità quando, pur avendo accresciuto la probabilità di piene eccezionali, pretendiamo di invadere le aree di pertinenza fluviale (e quindi inondabili) con agglomerati urbani, centri residenziali, commerciali e artigianali, facendo prevalere la logica della speculazione a vantaggio di pochi su quella della sicurezza e del beneficio per tutti gli altri.
Un esempio per tutti: a Bosisio Parini nel 1951 (líanno del Polesine) le acque del lago di Pusiano arrivarono fino a Piazza Parini, allagando una fascia di 100 metri dal lago, in cui a quel tempo non vi erano, o quasi, costruzioni. Ora questa fascia è piena di villette e persino della scuola del paese, tutte finite sottíacqua durante líalluvione di novembre.
Bisogna poi aggiungere che finora líunica strategia per ridurre il rischio di allagamenti si è basata sul tentativo di domare i fiumi, rettificandoli, imprigionandoli tra alti argini, magari di solido cemento, spostando, nel migliore dei casi, il problema ìidraulicoî più a valle, altrimenti peggiorando la situazione già nella zona che avrebbe dovuto essere salvaguardata.
Anche in questo caso citiamo ad esempio la cassa di espansione di Baggero, di cui abbiamo parlato nel numero precedente del nostro notiziario.
I nostri fiumi così sono oggi più stretti, più corti e con maggior pendenza di quanto fossero anche solo qualche decennio fa. è facile verificare su carte del Reno, del Danubio, del Po e di altri fiumi l'evoluzione (o meglio l'involuzione) che tali fiumi hanno subito nel corso dei secoli, attraverso una sequenza impressionante di restringimenti, rettifiche e arginature.
Ed è anche facile verificare la maggior frequenza e intensità di eventi denominati "calamità naturali", in cui la responsabilità "naturale" si affievolisce sempre più a fronte di quella antropica.
PerchÈ allora gli organismi preposti alla gestione dei fiumi e del territorio annesso continuano a praticare interventi che, alla luce della teoria e dell'esperienza, si sono rivelati fattori di aumento del rischio idraulico, per non parlare del disastro ambientale e biologico?
Una prima risposta è che quasi mai nei piani regolatori dei comuni viene inserito un piano delle acque organico, tanto meno collegato a un piano delle acque su scala più ampia. Il nodo principale poi resta l'incapacità di affrontare in modo strutturato e trasparente proprio i conflitti di interesse sempre presenti (tra insediamenti di monte e quelli di valle, o tra occupazione di spazio, protezione dalle piene, consumo di inerti, costi, ricreazione e conservazione della natura, ecc.) dei quali la pianificazione territoriale è quasi sempre una figlia succube o, al più, una confusa interprete, a prescindere poi dalla presenza di speculazioni e interessi illegittimi.
Manca uníimmagine di riferimento diversa da quella del "fiume domato".
Manca inoltre una pratica mentale che veda il fiume nel suo complesso, dal reticolo minore alla foce, e non solo come corpo idrico, ma anche come ambiente di vite diversificate e interdipendenti, non ultimo come elemento che può determinare il paesaggio.
Il rispetto dellíuomo verso il fiume vuol dire rispetto verso se stesso. Ne consegue che i danni che un fiume può provocare sono proporzionali allíattenzione che si ha verso di lui.
Per difendersi dalle inondazioni si deve per esempio puntare sul rallentamento dei deflussi, anzichÈ sulla loro accelerazione. Per rallentare il deflusso occorre però invertire la rotta, restituendo ai fiumi spazio e un tracciato non più rettificato, incominciando già dal reticolo minore, dal più piccolo fosso al corso principale.
Questo non significa disseminare il territorio di "casse di espansione" intese come enormi vasche da bagno, opere dagli ingenti costi di realizzazione e gestione e di impatto elevatissimo sul territorio antropico e naturale.
Rallentare il deflusso significa soprattutto conservare aree inondabili o, all'interno degli argini (ove ormai non più eliminabili), ampie aree golenali da destinare a zone naturali, a produzione di biomassa legnosa, a zone umide per la fitodepurazione, ad attività agricole o turistiche a basso impatto: attività assolutamente compatibili con una periodica inondazione, che permettono di rendere economicamente sostenibili soluzioni progettuali che altrimenti costituirebbero un gravoso onere per la collettività.
Guarda sul sito le pagine sulla relazione di Giuseppe Baldo del CIRF

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