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di Barbara Carazzolo,
Alberto Chiara e Luciana
Scalettari |
CASO
ALPI IL RICORDO DEI GENITORI NEL DECENNALE DELLA MORTE
DIECI ANNI SENZA ILARIA
Il pm di Asti ha chiuso l’inchiesta sui rifiuti perché non si può
indagare in Somalia, ma la Commissione parlamentare ha ordinato una nuova
perizia sulle salme. «Speriamo che faccia giustizia», dicono papà Giorgio
e mamma Luciana.
Cara Ilaria, nel 1999 ti scrivemmo questa lettera: «Non
sappiamo se ti farà piacere questa cronistoria di quattro anni di
avvenimenti, di lotta e di inchieste per conoscere la verità di
questo orrendo delitto che ha troncato la tua gioia di vivere.
Ci pare di ascoltare, a volte, la risata con cui sdrammatizzavi
certe situazioni ma, d’altra parte, non possiamo dimenticare la tua
rabbia di fronte a tante ingiustizie che hai dovuto affrontare. Ti
chiediamo di capirci. Per noi questa lotta è ragione di vita, nel
tentativo, forse illusorio, di portare a termine il tuo impegno. Non
sarà facile tratteggiare questo lungo periodo di speranze, illusioni
e grandi amarezze. Sappi, tesoro, che tante persone ti hanno
tradito, hanno cercato di rendere difficile ogni ricerca della
verità. Un bacio. Mamma e papà».
Cara Ilaria, ora sono trascorsi altri cinque anni e forse si è
aperto uno spiraglio per ottenere verità.
È cominciato il lavoro della Commissione parlamentare di
inchiesta richiesta dall’onorevole Valerio Calzolaio e presieduta
dall’onorevole Carlo Taormina.
I componenti della Commissione militano in partiti diversi, con
diversi orientamenti politici, ma crediamo siano uniti dalla volontà
di rendere giustizia a te e a Miran. Si tenta di abbattere un muro
di indifferenza, omissioni, depistaggi e segreti inconfessabili che
ci hanno accompagnato in questi dieci, lunghissimi e tristissimi
anni. Vogliamo tu sappia che in questo lungo percorso siamo stati
accompagnati da alcuni giornalisti e, soprattutto, dai tanti lettori
di questo settimanale, persone che hanno continuato insieme a noi a
chiedere verità e giustizia. A tutti loro, grazie. Un
bacio.
Mamma e papà |
Una conferma. Diventata ufficiale pochi
giorni fa. Marcello Giannoni era titolare e socio della Progresso Srl di
Livorno che si occupava di smaltire rifiuti tossico-nocivi. Interrogato
dagli investigatori della Procura di Asti, impegnati a indagare su
traffici illeciti con il Corno d’Africa, rivelò: «In Somalia sono arrivati
sicuramente rifiuti tossici di tipo industriale e, forse, di tipo
sanitario. Dove? Nella zona di Bosaso. Lo so con certezza. Sono stati
impiegati, come materiale di riempimento, durante i lavori di
realizzazione del porto e della strada che va a Garoe».
Su richiesta di Luciano Tarditi, il pubblico ministero che l’aveva
condotta, l’inchiesta è stata archiviata perché – come scrive il
magistrato –, pur avendo diversi indizi, alcuni dei quali molto
interessanti, mancava e manca «la possibilità di constatare e provare in
loco l’avvenuto "intombamento" delle sostanze tossiche». La Somalia
continua a essere dilaniata dalla guerra civile.
 Ilaria Alpi, la
giornalista del Tg3 uccisa il 20 marzo 1994 in Somalia insieme
all’operatore Miran Hrovatin
(foto M.
Rossi/C.P.P.).
Una redditizia "pattumiera"
Pur non riguardando direttamente la morte di Ilaria Alpi e di Miran
Hrovatin, uccisi 10 anni fa a Mogadiscio, l’inchiesta di Asti avalla
quanto sostenuto in alcuni reportage giornalistici. La Somalia era una
redditizia "pattumiera": arrivava di tutto, dalle armi alle scorie
nucleari. Curiosare poteva essere molto rischioso. Ilaria e Miran, quando
furono assassinati, tornavano proprio da Bosaso.
Da queste notizie, da una loro lettura più attenta, dall’acquisizione
di elementi nuovi, è partita la Commissione parlamentare d’inchiesta
voluta dalla Camera e presieduta dall’onorevole Carlo Taormina. In pochi
giorni ha ascoltato i magistrati che si sono occupati del duplice omicidio
o degli scenari che avrebbero potuto costituirne il movente.
Tra questi, anche Luciano Tarditi, che il 18 novembre 2003, davanti a
un’altra Commissione parlamentare d’inchiesta, quella sul ciclo dei
rifiuti, aveva raccontato un episodio a sua volta inquietante. «Indagavamo
su Giancarlo Marocchino, sospettato di trafficare rifiuti tossici», spiegò
Tarditi. «Nel corso di una telefonata da noi intercettata, Marocchino
espresse dubbi al suo interlocutore circa la colpevolezza del somalo
arrestato a Roma (e poi definitivamente condannato come membro del
commando che uccise Alpi e Hrovatin, ndr). Giudicava la cosa una
"bufala" assurda, una provocazione architettata. Diceva che lui aveva le
prove o stava per averle».
Il primo referto medico
«Per competenza», proseguì Tarditi, «mandammo allora a Roma lo stralcio
dell’intercettazione telefonica, omettendo le generalità
dell’interlocutore di Marocchino, ma evidenziando il nome di quest’ultimo.
Purtroppo, dopo pochissimi giorni ricevemmo il colpo che fece naufragare
la nostra indagine. Sull’utenza intercettata, che avrebbe dovuto rimanere
segreta, sentimmo colui che risultò essere il legale di Marocchino:
telefonava alla persona che stavamo intercettando (di cui, ripeto, avevamo
taciuto l’identità) dicendogli che aveva letto degli atti provenienti
dalla Procura di Asti che lo riguardavano. Il legale si dichiarava
disponibile a difendere l’uomo in questione. Come poteva, però, l’avvocato
sapere tutte quelle cose?».
La Commissione d’inchiesta sulla morte di Alpi e Hrovatin, dal canto
suo, un risultato importante l’ha già ottenuto. Il presidente Taormina ha
esibito un documento che sembrava scomparso da anni: il referto medico del
primo esame esterno delle salme, effettuato sulla nave militare
Garibaldi.
Viste le successive perizie presentate ai processi, contraddittorie tra
loro (colpo di pistola o di kalashnikov? Da vicino o da lontano?), la
Commissione ha affidato al professor Vincenzo Pascali, direttore
dell’Istituto di Medicina legale dell’Università Cattolica di Roma, il
compito di farne una nuova, che accerti senza più ombra di dubbio la
dinamica dell’agguato, le armi usate e la distanza da cui si è aperto il
fuoco.
Barbara
Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari
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