da “Carta” n. 7 del 17.02.2005
SERVIZI SPECIALI
di Giuliano
Santoro
Sospesa tra prima e seconda repubblica,
tra neocolonialismo e cooperazione, tra indagini e depistaggi,
la storia della giornalista Rai IlariaAlpi e
dell'operatore Miran Hrovatin,
e del loro assassinio, avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo de1 1994, rivela
storie allarmanti, che attraversano il lato oscuro
dell'Italia.
Poco più di un anno fa,
nel gennaio de12004, si è insediata la commissione d'inchiesta sul caso
Alpi. È composta da venti deputati e da altrettanti
consulenti, presieduti dal deputato di Forza Italia e avvocato Carlo Taormina,
che ha chiamato come coordinatore il generale Carlo Blandini.
Il rapporto tra Taormina e gli alti gradi dell’esercito è
sempre stato molto stretto. L'avvocato di Saddam Hussein e di Erich
Priebke in passato ha difeso Stelio Nardini, capo di stato maggiore dell’aeronautica e
consigliere militare di Cossiga, accusato di aver
contribuito all'insabbiamento dell'inchiesta sul Dc9 Itavia
abbattuto sui cieli di Ustica.
Proprio in commissione, il 12 gennaio
scorso l' ex capo della secoonda
divisione del Sismi Luca Rajola Pescarini,
l'uomo che ha gestito per anni gli affari esteri dei servizi, ha descritto lo
scenario della Somalia degli anni novanta. In quegli anni, in mezzo ai signori
della guerra e al «tutti contro tutti», il servizio
segreto italiano scoprì che nel territorio del paese africano si muovevano
anche gli uomini dell'ottava divisione del servizio segreto militare, quella
che si occupa del traffico di armi. Rajola Pescarini è lo stesso che qualche anno fa dichiarò alla
commissione d'inchiesta sulla cooperazione che «i misteri della cooperazione
non si trovano ne a Bosaso
ne a Mogadiscio. Stanno a Roma, o in qualche paese vicino, dove ci sono le
banche». «Qualche commissario si è spinto anche più in là -racconta Gianni Ballarini sulle pagine dell'ultimo numero della rivista dei
comboniani, Nigrizia -parlando,
in modo improprio, di un Sismi parallelo che operava
in Somalia».
Servizi contro servizi
Le ammissioni di Rajola
Pescarini, continua Ballarini,
«sono la conferma di come le nostre barbe finte si siano mosse in quel paese. A
Forte Braschi [la sede dei servizi segreti italiani, ndr.] ricordano
ancora quando, nel 1990, gli uffici furono invasi da giganteschi caschi di
banane somale. Era il ringraziamento di Siad Barre
per la fornitura di computer e programmi operativi, del valore di un miliardo,
che il Sismi aveva regalato ai somali su incarico di Craxi».
La commissione ha visionato le cassette
girate da Ilaria e Miran prima di essere uccisi. Si
vedono panoramiche del brullo deserto somalo, lunghe operazioni di trasbordo di
casse italiane, con su scritto «olio d'oliva», e
un'intervista tormentata a un tizio infastidito. Si trattava del sultano Moussa Bagor. Ilaria era andata
da Mogadiscio a Bosaso ad intervistarlo, per scoprire
«che fine hanno fatto i 1400 miliardi della cooperazione italiana in Somalia»,
come recita la frase che è stata trovata in uno dei suoi taccuini.
Ma queste sono solo alcune indiscrezioni
sui lavori della commissione, e porterebbero a indagare
verso la direzione indicata anche nel passato da chi ha cercato di seguire il
filo che da Ilaria portava alla Somalia di quegli anni. Maurizio Torrealta, giornalista di RaiNews24, è uno di questi.
Eppure, la redazione del canale satellitare «alI news»
della Rai e la casa di Torrealta sono state
perquisite, il 28 gennaio scorso, alla ricerca di materiale che il giornalista
avrebbe «occultato», ha fatto sapere la presidenza della commissione d'indagine
[cioè Taormina].
Per capirci qualcosa, è necessario fare
qualche passo indietro. Torrealta è stato tra i fondatori
della bolognese Radio Alice, poi, negli anni ottanta, è approdato alla Rai. Dal 1992 ha cominciato a lavorare al Tg3. Allora,
il telegiornale era diretto da Sandro Curzi. La
scenografia prevedeva che due giornalisti lavorassero davanti alle telecamere,
dietro il conduttore. Spesso i due giornalisti erano proprio Ilaria Alpi e
Maurizio Torrealta.
«Era interessante -ha
raccontato nel marzo scorso Torrealta alla
commissione -Fingevamo di dibattere, di guardare le notizie, in realtà ci
mandavamo dei messaggi, scherzavamo, chiacchieravamo. Eravamo colleghi, amici».
Quando Ilaria venne uccisa, Torrealta
decise, da giornalista d'inchiesta, dimettersi sulle tracce dell'assassino
della sua collega e dell’operatore che l'accompagnava. Ne venne fuori un libro
intitolato «L'esecuzione», firmato insieme a
Mariangela Gritta Grainer e
ai genitori di Ilaria. Vi si racconta di come la giornalista
stesse seguendo la scia lasciata dalle navi che la cooperazione italiana
aveva dato alla Somalia, poi utilizzate per traffici d'armi e di rifiuti
tossici.
Perchè, dunque, il presidente
della commissione monocamerale d'indagine sulla morte
di Ilaria e Miran [che ha
poteri pari a quelli della magistratura inquirente] dovrebbe avere ordinato le
perquisizioni a casa di un giornalista, di una delle persone che più ha
lavorato perchè venisse a galla la verità? Una
persona, insomma, che non avrebbe nessun motivo per intralciarne le indagini?
«Torrealta era
già stato ascoltato dalla commissione -ha spiegato
qualche giorno fa Mauro Bulgarelli, deputato verde e
membro della commissione, che martedì 8 febbraio si è dimesso, in polemica con
Taormina - Non è vero che si era rifiutato di 'produrre i materiali'
che gli erano stati richiesti». Il sospetto, è che Thormina
sia, diciamo così, «attratto» dalla pista islamica e
che voglia «tralasciare» le ipotesi del traffico di rifiuti e di armi, cui
sembrano dar credito anche altre commissioni di indagine che hanno lavorato negli
anni scorsi, soprattutto quella sulla cooperazione e quella sul ciclo dei
rifiuti. «Bisogna seguire tutte le piste, e non prediligerne solo una» , ha avvertito invece Bulgarelli
annunciando le sue dimissioni. Tanto più che nel marzo de1 1994, quando avvenne
l'esecuzione, i fantomatici «fondamentalisti islamici» tanto cari a Taormina erano in rotta di fronte all’avanzata
delle bande armate di Abdullahi Yusuf
Ahmed, attuale presidente della Somalia.
Perquisizione, cioè intimidazione
«La commissione d'indagine ha persino convocato
alcune persone che avevo scovato io e che erano al corrente
di alcune vicende sulla cooperazione internazionale -racconta invece Torrealta- Ogni volta che ho fatto delle trasmissioni su
Ilaria mi hanno querelato. Ho subito cinque processi per questo motivo». «Il
giornalismo d'inchiesta vive una fase di stallo -spiega invece Roberto Morrione, direttore di Rainews24 - La perquisizione a Torrealta è un'intimidazione a un
giornalista che da sempre fa inchiesta. Per fare una perquisizione ci vuole
un'ipotesi di dolo. Hanno persino richiesto la sua 'scheda personale'
agli uffici della Rai».
Luciano Scalettari
e Barbara Carazzolo lavorano a Famiglia Cristiana.
Hanno costituito un «pool d'inchiesta» sulla morte di Ilaria
e Miran, e hanno concluso che questo è un altro dei
«misteri d'Italia», come piazza Fontana o Ustica. In un libro di un paio di anni fa [ «Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei
traffici», scritto insieme ad Alberto Chiari], hanno
scritto che la loro inchiesta «è diventata anche il tentativo di chiarire un
pezzo oscuro e maleodorante della storia del nostro paese». Per questo, un anno
fa erano stati nominati consulenti della commissione. Adesso, dopo la
perquisizione a Torrealta, anche loro si sono
dimessi. (il nostro contributo è stato marginalizzato
-dicono -Prima si paventavano ipotesi di incompatibilità
a causa di alcune querele per diffamazione che abbiamo ricevuto. Poi è stato
messo in atto un vero e proprio tentativo di destrutturare
le ipotesi del nostro libro e di quello di Torrealta».
«Se gli altri
non lo dicono, lo dico io che ho l'immunità parlamentare. Il messaggio di queste
perquisizioni è che per fare il giornalista bisogna essere timorati dei servizi
segreti», afferma il diessino Giuseppe Giulietti, capogruppo alla commissione cultura della camera
e fondatore dell’associazione Articolo 21. «Queste
vicende sono ricorrenti. Lo hanno fatto anche per chi lavorava sul G8 di
Genova -prosegue Giulietti - Si può accusare di depistaggio chiunque lavori su vicende di una certa
risonanza. Invece è proprio questo il mestiere del
cronista: violare i segreti». «Quello di Torrealta è
un caso che fa il paio con la riforma dei codici di pace: siamo tutti in guerra
-sostiene il segretario della Federazione nazionale della stampa Paolo Serventi
Longhi -Siamo tutti esposti alla repressione. Adesso,
il governo sta pensando di affidare ai prefetti i reati di diffamazione. In
questo modo l’esecutivo avrebbe il potere di giudicare i giornalisti. Siamo alla follia».
Si intrecciano i piani del depistaggio e della minaccia alla libertà d'informazione.
In entrambi i casi, a farne le spese sono la verità e la ricostruzione di un
pezzo di economia criminale globale. Alla fine degli
anni novanta un boss camorrista, nel corso di una telefonata intercettata dalle
forze dell’ordine, spiegava a un suo socio che c'era
un nuovo business per le mafie globali: «Metti monnezza
ed esce oro». Ne12002, il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna
ammise che «il fenomeno ha dimensioni extranazionali: i nostri rifiuti vengono esportati anche all'estero, soprattutto in Africa. È
difficile combattere traffici globali sul fronte
interno» . Otto anni dopo che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si avventurarono
nel crocevia dei traffici.